Page 92 - Federico II - Genio dei tempi
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Il dibattito, anche fra uomini di idee concordi, non era però semplice:
          dall’altro estremo sembra certo che i pensieri espressi sull’argomento da

          Federico  abbiano  una  sfumatura  più  «aristotelica»  e  orgogliosamente
          aristocratica. E come poteva essere altrimenti per un discendente degli
          Staufen e degli Altavilla?
             Federico - scrive fra’ Salimbene da Parma - oltre a saper leggere (prima

          fase della cultura moderna) sapeva anche scrivere, cantare e comporre
          canzoni in molte lingue. Fra queste c’erano anche alcune lingue nuove,
          le  «volgari»,  l’occitanico  per  esempio  e  il  dialetto  apulo-siciliano,  che
          venne trasformato alla corte da lingua parlata e familiare in lingua scritta

          e letteraria dotata di un registro poetico proprio.
             Tra i paesi romanzi l’Italia arriva ultima alla poesia: una poetica unitaria
          e coerente ha infatti inizio soltanto verso il 1230 proprio in Sicilia. Ma
          dicendo Sicilia dobbiamo pensare a una realtà più vasta e composita,

          perché alla corte di Federico appartenevano anche poeti di altre regioni
          italiane. L’imperatore del resto soggiornava sovente nelle terre continentali
          e in quelle settentrionali del Veneto e dell’Emilia.
             È Dante a chiamare i poeti della corte di Federico «poeti siciliani» e il

          riferimento è alla Magna Curia dalla cultura plurilingue e varia, itinerante
          come quasi tutte le corti del tempo. Tuttavia è Curia (corte regale) e quindi
          per Dante l’unico ambiente in grado di produrre ed elaborare un linguaggio
          «illustre». All’origine di questa corte cosmopolita sta - l’abbiamo visto

          - la strategia politica di Federico, impegnato su vari fronti a limitare le
          autonomie cittadine, a sottomettere le aristocrazie nel grande progetto
          del controllo della penisola italiana indipendente dalla chiesa di Roma.
          Proprio a quel gruppo di colti amministratori - giuristi e notai, cavalieri di

          corte e funzionari, laici ma formati naturalmente alle scuole ecclesiastiche,
          collaboratori dell’imperatore nella realizzazione del suo progetto politico
          - appartengono i rimatori siciliani che si ispirano alla poesia dei trovatori
          provenzali. E non solo, poiché molte testimonianze ci assicurano della

          presenza dei romanzi scritti in antico francese (il Romanzo di Troia, le
          Profezie di Merlino, la storia di Tristano e Isotta) con i loro personaggi e le
          fantasie luminose delle immagini d’amore.
             La  corte  di  Federico  era  sostenuta  da  una  «biblioteca  plurilingue

          come nessun’altra nell’Europa medievale... era una biblioteca di lettura
          tendenzialmente universale e diacronica non specialistica e sincronica
          come quella scolastica... Era una biblioteca aperta sia nella sua possibilità
          di nuove accessioni sia nell’assenza di ogni potenziale gerarchia di generi,

          di materie, di lingue, latino, greco, arabo, ebraico, provenzale, francese,
          forse anche tedesco» (Petrucci 1983).



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