Page 88 - Federico II - Genio dei tempi
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come di un’aquila che si è levata in volo da Salerno: tutta la strategia,
ancora una volta, ha un senso e uno scopo politico, altamente politico.
La figura del sovrano è sottratta alla sfera delle cose ed eventi naturali e
si presenta come mediazione privilegiata con il divino e una sua speciale
rappresentazione.
Altre analogie sottraevano la persona di Federico al contesto
immediato, conferendogli l’aura mitica dei passati eroi: la rivendicazione
dell’ascendenza alla stirpe troiana, fino a Enea attraverso Cesare, motivo
ricorrente della tradizione ghibellina.
Più immaginoso ancora è il ricorso a un altro personaggio storico
del mondo antico, già rivissuto dal mito romanzato in varie ondate,
Alessandro Magno, l’amante della filosofia che dibatte con i sapienti,
l’eroe rappresentato nelle vesti del Paladino, che combatte assistito
dalla forza divina, visita Gerusalemme, punisce Gog e Magog, affronta i
mostri della foresta indiana e accoglie i doni esotici, elefanti, pappagalli
offerti dai sovrani con i quali conversa dottamente e fa alleanze. E impara
l’astronomia, studia le forze della natura e la geografia dei paesi lontani,
escogita stratagemmi contro i nemici. Trovatori e Minnesàngerin, storici
arabi e bizantini paragonano - viene così naturale - questo Alessandro, già
divenuto nel racconto medievale cavaliere perfetto, audace e magnanimo,
a Federico II che come lui è sapiente e studioso dell’opera di Aristotele,
maestro del re macedone, e come lui è trionfante sulle forze oscure del
nemico. L’evocazione di un Oriente con i suoi tesori, così affascinante,
amato da entrambi i sovrani; la presenza di elefanti, cacatoa, felini selvatici,
congegni mirabolanti e donne sontuosamente esotiche nei cortei dello
Svevo e l’immagine del falcone nelle miniature di Alessandro rinforzano
visivamente l’analogia fra i due supereroi. Alessandro, nel romanzo
medievale, chiuso in una specie di sottomarino studia la fauna degli
abissi marini; Federico manda un siciliano di nome Nicola nello stretto di
Messina per osservare i pesci e i relitti delle navi. Ma prudente e ostinato,
per essere sicuro che Nicola sia arrivato fin sul fondo, fa gettare una coppa
d’oro nel punto più profondo che il marinaio porterà alla superficie, come
racconta anche Salimbene.
Dal sapiente Michele Scoto viene l’elogio più consapevole, perché
fondato sull’importanza del sapere: «Buon Imperatore sono sicuro che
se mai un uomo potesse sfuggire al nostro destino mortale in virtù del
suo sapere, tu saresti quello che più di ogni altro lo merita».
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