Page 86 - Federico II - Genio dei tempi
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diffidare dai concetti che si prestano al falso ragionamento... Il significato
          del discorso non si comprende dalla sua espressione linguistica senza un

          esame particolareggiato.
             Continua il sapiente:
             Che  Dio  altissimo  ti  conduca  all’Islam.  Ho  compreso  che  chiedi  di
          essere guidato e ti ho citato molte cose affinché conoscessi il modo di

          porre le domande. Ad esempio è necessario che tu apprenda che cosa è il
          mondo, l’eternità, l’innovazione, l’instaurazione e la creazione: con la loro
          conoscenza ti sarà evidente il vero... Poiché questi termini sono sinonimi
          un gruppo di antichi e moderni - che Dio li perdoni - li ha attribuiti ad

          Aristotele. Noi diciamo che diversi sono i modi in cui si parla di mondo...
             Al dilettante geniale che, come tutti i dilettanti, è assetato di certezze,
          il filosofo abituato ad indagare risponde che la verità su un argomento
          di tal genere non è assoluta per gli uomini e che non è tanto importante

          accertare l’opinione di Aristotele (come invece sembra volere Federico),
          imbarcandosi in una sterile ricerca sui suoi testi, quanto tendere alla verità
             ... che nella sua sublimità supera ogni filosofo e si paleserà da se stessa...
          Si è concluso - dice Ibn Sabìn - il discorso sulla eternità del mondo e sui

          dubbi a questo proposito come hai chiesto. Se tu avessi chiesto il Vero
          in se stesso avremmo proceduto con te sulla tua stessa strada, ma tu
          hai chiesto il discorso del sapiente e forse lui è chiamato sapiente come
          è chiamato sano colui che è stato morso da un serpente. La verità è di

          difficile accesso anche per Aristotele.
             A Federico Ibn Sabln rimprovera più di una volta la sua imprecisione
          nel formulare le domande, dovuta - ripete - a una mancanza di studio
          rigoroso  delle  questioni  teoretiche:  nel  chiedere  «qual  è  la  prova

          dell’immortalità  dell’anima»  l’imperatore,  per  esempio,  non  precisa  di
          quale anima sta parlando: se dell’anima vegetale, di quella animale, o
          di  quella  razionale.  Solo  quest’ultima  è  infatti,  secondo  le  dottrine  dei
          filosofi  antichi,  «una  sostanza  spirituale,  luminosa,  semplice,  separata

          dalla materia, sapientissima in potenza, agente per natura... che permane
          dopo la morte, non si annienta e non muta, anzi la morte aumenta la sua
          bellezza e il suo splendore».
             Ma l’aspetto più sorprendente è la disinvoltura decisamente insolente

          con cui il saggio musulmano tratta il suo augusto corrispondente (ammesso
          che nella stesura che possediamo non ci siano state successive aggiunte),
          facendogli notare che ponendo una certa domanda, quella sul numero
          delle  categorie,  Federico  manifesta  chiaramente  «la  sua  debolezza  di

          istruzione e la mancanza di esercizio in campo scientifico... confondendosi
          così con la folla stupida e priva di intelligenza». Un atteggiamento da



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