Page 82 - Federico II - Genio dei tempi
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un sapere liberale molto adatto all’esercizio della verità e utilissimi precetti
morali dobbiamo conservarli per noi... È come se tutto questo fosse oro
e argento, che essi non hanno prodotto ma estratto dalle miniere della
divina provvidenza, di cui fanno un uso perverso e offensivo. Quando il
cristiano si separa dalla società della miseria (come avvenne quando gli
ebrei si liberarono dalla schiavitù d’Egitto) deve strappare a loro tutto ciò
per volgerlo al retto uso predicato dal Vangelo... Sarà lecito accogliere
e tenere in nostro possesso per renderle utili ai cristiani anche alcune
leggi e istituzioni fatte dagli uomini antichi e adatte alla società umana.
In questa vita non possiamo fare a meno di queste preziose istituzioni.
Con queste ultime paróle Agostino affermava un’idea che sarà viva per
tutti i secoli medievali, presente in massimo grado anche all’imperatore
e agli intellettuali del regno federiciano: l’immensa utilità dello studio del
diritto e delle leggi vigenti negli antichi regni pagani e le riflessioni etico-
politiche, ad esempio, di Cicerone e Seneca.
L’idea di una congiunzione dell’antico sapere degli antichi con la
nuova cultura cristiana aveva percorso la ricerca teologica dei monasteri
altomedievali, il grande affresco metafisico di Scoto Eriugena e i commenti e
le opere dei pensatori carolingi come Alcuino fino alla teologia abelardiana
e alla lettura dei grandi maestri di Chartres che interpretavano il testo
biblico del Genesi secundum phisicam accostandolo audacemente alla
pagina del Timeo di Platone.
Nelle scuole cattedrali delle città il rapporto fra sapere teologico e
scienze profane era diventato al contempo più intenso e più problematico:
il quadro delle scienze o arti liberali «esplode» nella seconda metà del
XII secolo (l’espressione è di Chenu 1971) e i campi del sapere non solo
si moltiplicano ma tendono a divenire parzialmente autonomi nelle
loro metodologie. Le «autorità» pagane alle quali rivolgersi divengono
più numerose e imponenti con l’aumento delle traduzioni delle opere
aristoteliche che arrivano in Occidente. Il confronto fra le due culture -
quella degli antichi e la cristiana - si impone di necessità, ma spesso
appare difficile e qualche volta drammatico.
Il punto critico è rappresentato soprattutto da Aristotele e dalla sua
visione naturale e etica del mondo, che entra nelle scuole universitarie
europee nel Duecento: mentre ancora nella seconda metà del XII secolo
Aristotele era stimato soprattutto per la sua ricerca logica - che molti
secoli prima Boezio aveva in gran parte tradotta e parafrasata per i latini
- cinquantanni dopo egli diventa il filosofo per eccellenza, il «principe dei
filosofi», come lo chiama Federico II.
Il De anima, i libri naturales, le opere di metafisica e etica mutano le idee
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