Page 77 - Federico II - Genio dei tempi
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del sapere:
Se una cosa viene detta semplicemente e esplicitamente rivelata allo
stolto è come un anello d’oro appeso al naso di un porco {Proverbi XI, 22).
Lo stolto infatti terrebbe quella cosa in spregio finendo con il danneggiare
se stesso mentre il sapiente sprecherebbe parole preziose. Il sapiente
deve perciò adattare il suo discorso all’orecchio di chi ascolta, ma quando
scrive deve scrivere in modo che gli altri sapienti ne intendano il vero
senso...
La verità deve quindi essere protetta e velata e necessita di un linguaggio
speciale adatto a chi ascolta: sono queste le idee che circolano in differenti
ambienti culturali e segnalano un analogo indirizzo epistemologico e
un’etica intellettuale e aristocratica propria non solo di quei secoli. La
comunicazione e la condivisione del sapere, che nella società moderna
da due secoli sono valori comuni (almeno in via teorica), erano allora
pratiche ignote: la conoscenza era un patrimonio al quale pochi potevano
accedere.
Nel secolo XII i maestri della scuola cattedrale di Chartres usavano per
esporre le «profondissime verità» contenute nella filosofia del Timeo di
Platone Xintegumentum o involucrum, una forma di linguaggio figurato
con la funzione di velare e proteggere le verità. Come scrive Bernardo
Silvestre «T’integumentum è un tipo di dimostrazione che si nasconde
all’intelletto sotto una narrazione fantastica». Una fabula che ha però la
duplice funzione di velare e insieme alludere a quelle verità «profondissime»
e fondamentali che devono essere preservate a vilitate, ossia protette da
una spiegazione inadeguata e volgare. Attraverso questo strumento che
permette di oltrepassare il senso letterale, le verità intime dell’universo (e
quelle della teologia) che nel discorso umano sono fatalmente esposte al
fraintendimento della volgarizzazione, vengono protette dalla sapienza di
«quegli uomini dotati di capacità di visione più elevata». Scrive Guglielmo
di Conches che «la natura soprasensibile ha bisogno di uomini sapienti
che esprimono per mezzo della narrazione della fabula i segreti che come
tali devono rimanere inaccessibili al volgo».
La filosofia evita - scriveva Averroè nella Incoerenza della incoerenza
dei filosofi- di parlare in termini fisici di Dio, linguaggio consentito invece
alla Legge che è rivolta al popolo e descrive Dio come udente e vedente
per evidenziare che all’Altissimo non sfugge nessuna conoscenza: «il
volgo infatti non sarebbe in grado di afferrare questa capacità se non
attraverso i termini dell’udire e vedere rappresentati fisicamente. La
esegesi allegorica del testo sacro deve essere riservata ai sapienti». E
ancora: «se si indugia a discutere con il volgo di siffatte questioni si annulla
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