Page 76 - Federico II - Genio dei tempi
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trasmesso individualmente e in modo diretto. Le occasioni d’incontro fra
          ebrei e cristiani, frequenti nella vita economica e cittadina, erano rare

          anche se non impossibili nei dibattiti culturali, come avveniva invece nei
          centri di traduzione dall’arabo al latino, oltre che a Palermo anche alla
          corte di Alfonso di Aragona e a quella dei conti di Barcellona.
             Nel  XII  secolo  la  traduzione  in  ebraico  della  Guida  dei  perplessi  di

          Maimonide, compiuta all’inizio del secolo da Semù’él ibn Tibb5n, segnò
          una  vera  svolta  intellettuale.  Così  scriveva  Semù’él:  «Riconosco  che
          grande era la necessità di aprire gli occhi degli uomini intelligenti del
          mio popolo dal momento che Dio nella sua grazia mi aveva concesso di

          conoscere e comprendere le parole di Maimonide...».
             Più tardi alla corte di Federico gli incontri si fecero più serrati e vivaci:
          Giacobbe  Anatoli  lavorava  a  Napoli  negli  anni  1230-32  collaborando
          con l’imperatore, mentre suo nipote Mosè ben Semù’él ibn Tibbòn stava

          presso di lui nel decennio seguente e Giuda ben Salomone ha-Cohen,
          proveniente  da  Toledo,  dal  1245  al  1247  era  in  Lombardia  alla  corte
          federiciana: erano tutti e tre filosofi, matematici e astronomi, come del
          resto Mosè di Salerno, altro sapiente ebraico chiamato a far parte della

          cerchia di Federico. La testimonianza di Giacobbe Anatoli è significativa:
          “In questo libro si troverà ciò che ho potuto ascoltare dalla bocca del
          grande  scienziato  Michele  [Scoto]  al  quale  in  quegli  anni  ero  vicino.
          Quando  si  presentava  nella  conversazione  un  versetto  biblico  ed  egli

          esponeva la sua spiegazione io la accoglievo e ne prendevo nota con il
          suo nome perché non avevo intenzione di gloriarmi di ciò che non era mio
          né di adornarmi in modo falso fingendomi sapiente” [cit. in Sirat 1994].
             A queste conversazioni intessute di dotte esegesi, a volte partecipava

          lo stesso imperatore e talvolta poteva accadere - come riferisce Anatoli
          - che Federico fosse di parere opposto a quello del saggio ebreo e di
          Michele Scoto: avvenne così nella discussione se i cieli e la terra fossero
          creati da una materia prima unica e preesistente. Questa era la teoria

          scelta e argomentata dall’imperatore e respinta dai due sapienti.
             Di Giacobbe Anatoli è interessante la riflessione sulla diseguaglianza
          umana e la funzione del linguaggio all’interno delle differenze sociali:
             È noto che fra gli uomini alcuni sono servi e altri liberi di esercitare

          il potere sui servi dei quali sono padroni... All’origine tuttavia gli uomini
          erano un tutt’uno. Quando gli ignoranti si moltiplicarono e anche gli stolti
          di conseguenza, allora Dio decise che quella unità non era più un bene.
          Perciò diversificò le lingue per impedire che gli uomini agissero di comune

          accordo.
             Da qui l’importanza di usare un linguaggio appropriato nella trasmissione



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