Page 71 - Federico II - Genio dei tempi
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astronomiae l’astrologia come una «pessima idolatria», un vero inganno
          diabolico quando sconfina o persino si identifica con la magia e fa ricorso

          alla invocazione di potenze soprannaturali.
             Michele Scoto è un personaggio ben più rilevante e complesso degli
          aneddoti che narra e delle leggende che lo avvolgono: filosofo, astronomo,
          matematico, fisico e traduttore di Aristotele, Avicenna (Ibn Sina) e Averroè

          oltre che astrologo, ossia dotto in quel sapere che colpisce l’immaginazione
          in ogni tempo. Afferma Michele che
             l’astronomia [in questo contesto astrologia e astronomia sono termini
          sinonimi] è fra le scienze liberali più nobile di tutte le altre, necessaria

          proprio per la sua verità, utile e piacevole per ogni uomo che desidera
          essere sapiente: al medico per le malattie che cura, ai re e ai signori per le
          azioni che devono intraprendere, ai mercanti per i loro traffici e le strade
          da percorrere, agli alchimisti e ai maghi...

             Chi  è  dunque  l’astrologo?  Michele  ce  lo  descrive  come  colui  che
          usa  strumenti  scientifici  come  l’astrolabio,  segue  una  particolare
          procedura nelle risposte al suo cliente, conosce a perfezione i termini
          astronomici, comunica con esempi semplici e chiari e soprattutto spiega

          il comportamento dei pianeti «signori dell’anno».
             Le  fonti  di  Michele  sono  in  gran  parte  di  prima  mano:  accanto  al
          De  imaginibus,  al  De  interrogationibus  e  all’Introductorium  maius  di
          Albumasar  (Abù  Ma’shar),  tradotti  da  Giovanni  di  Siviglia,  troviamo  il

          De indagatione cordis, raccolta di testi arabi di astrologia compilata un
          secolo prima da Ermanno di Carinzia, insieme ad uno dei più antichi e
          prestigiosi libri di astrologia araba, la lettera di Argafalau ad Alessandro
          Magno, il cui primo manoscritto conosciuto risale al X secolo. L’aspetto

          interessante riguarda il fatto che i testi utilizzati e in parte citati da Michele
          sono stati tradotti proprio a Toledo e in parte molto minore a Barcellona
          (Burnett 1994) e corrispondono a molti dei volumi prima ospitati nella
          biblioteca cattedrale di Toledo, oggi appartenenti alla Biblioteca nazionale

          di Madrid. Toledo era già prima dell’arrivo di Michele Scoto un centro di
          studi per la fisica, l’astronomia e l’astrologia, dove l’irlandese continuò il
          lavoro dei suoi predecessori in stretta collaborazione con la cattedrale:
          gran parte della enciclopedia filosofica di Avicenna era stata tradotta in

          latino dall’arcidiacono Domenico Gundisalvi con l’aiuto del filosofo ebreo
          Avendauth (Ibn Dà’ud). Inoltre colui che è considerato uno dei più validi
          traduttori dall’arabo del XII secolo, Gerardo da Cremona, aveva compiuto
          proprio a Toledo oltre alla traduzione dell’Almagesto di Tolomeo quella

          della Divisione delle scienze di al-Fàràbi. La prima comparsa documentata
          di Michele è proprio in questa città dove completa le traduzioni del De



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