Page 68 - Federico II - Genio dei tempi
P. 68
simbolo della ricerca non solo libera da pregiudizi ma svincolata dai ceppi
di una fede religiosa che nel mondo cristiano, interpretata alla lettera,
bloccava ogni indagine e spegneva la possibilità di progredire nella
conoscenza. Sono due esempi notevoli se si pensa che solo un secolo
prima Pier Damiani aveva affermato che i non cristiani erano del tutto
privi di ragione e che ancora qualche anno dopo la morte di Abelardo il
teologo Alano di Lilla dichiarava che i «Saraceni non sono guidati dalla
ragione ma dominati soltanto dalla volontà».
Il clima culturale siciliano prometteva ben altro. Collaboratore e
diplomatico di re Guglielmo I, Enrico Aristippo vescovo di Catania,
che aveva tradotto dal greco il Libro IV delle Meteore di Aristotele e il
Menone e il Fedone di Platone, elogiava negli stessi anni di Abelardo le
ricerche scientifiche, di medicina, meteorologia, filosofia e matematica
condotte dai maestri della corte normanno-sveva che potevano contare
su biblioteche sempre più ampie. In Sicilia era possibile - scriveva
Aristippo - studiare $i Analitici secondi di Aristotele, un testo che avrebbe
rivoluzionato l’epistemologia occidentale, ma che era conosciuto in
quei tempi solo da pochi. Abelardo, maestro a Parigi negli stessi anni,
sempre così intellettualmente curioso, dichiarava di averli letti («perlegi»)
personalmente, ma aggiungeva che il testo «non era in uso presso le
scuole di Francia».
Decenni dopo Federico II troverà quindi nelle terre ereditate dai nonni
paterni una situazione culturale già vivace e ben radicata, una cultura
cosmopolita, un trilinguismo favorito dai sovrani che avevano ospitato e
incoraggiato, accanto ai dotti latini, alcuni notevoli personaggi provenienti
dal mondo greco e arabo.
La cultura greca era per tradizione presente nelle terre del regno
e coinvolgeva insieme alla corte e ai suoi funzionari altri ambienti e
professioni, notai, segretari, vicecomites, generali, medici, insegnanti e
semplici monaci (Cavallo 1992). Tutti costoro conoscevano e apprezzavano
la cultura greca classica, e alcuni di loro provenivano dalla Grecia.
Appena poco più tardi, sotto il regno di Federico II, le traduzioni in latino
dal greco e anche dall’arabo contribuirono via via a indebolire la presenza
nelle biblioteche degli originali greci, soprattutto nelle regioni siciliana
e calabrese. A poco a poco le opere greche divennero più rare. C’erano
per questo fenomeno anche altre ragioni: la latinizzazione della chiesa
e la contemporanea e più generale penetrazione della cultura latina
nell’amministrazione del regno, il distacco sempre più netto da Bisanzio
in decadenza e, al contrario, la necessità di relazioni sempre più ampie
che spingevano i dotti greci in un circolo di attività lontano dal regno
— 62 —