Page 63 - Federico II - Genio dei tempi
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trionfalmente al centro della cultura delle università occidentali.
Anche quando i problemi e gli impegni del suo regno lo assillavano o
le campagne di guerra lo impegnavano, Federico si riposava andando a
caccia «nel pantano di Puglia e nei parchi di caccia di Gravina e Melfi sulla
montagna, mentre in inverno uccellava a Foggia», come scrive Giovanni
Villani. E se nelle campagne di Lombardia era immerso nella sua continua
lotta contro la Lega, durante le tregue e persino come abbiamo visto in un
giorno che a torto credeva tranquillo, si dedicava alla caccia, per lui l’arte
più affascinante. I suoi falconi - lo indicano le sue lettere - li mandava a
cercare un po’ dappertutto, nelle isole fra Italia e Africa come Pantelleria
e Lampedusa e in particolare a Malta, ma anche al Nord estremo vicino
a Lubecca. Dovunque si trovasse il suo interesse non veniva mai meno e
per lettera chiedeva notizie dei suoi compagni falconieri quando qualcuno
di loro incorreva in qualche incidente o malattia.
Del resto «la caccia al falcone è un’attività consueta e adatta a un re»,
aveva scritto lo stesso Federico al figlio Corrado, raccomandandogli però
di non mostrarsi troppo familiare verso i servi, gli arcieri e i battitori suoi
compagni nella spensierata giornata di caccia perdendo in tal modo l’alto
stile della dignità regale che doveva sempre essere sottolineata.
Il falcone, animale «altero e superbo che vuole sopraffare tutti gli altri
uccelli» (scriverà Leonardo osservando il suo magnifico volo), era degno
di stare quasi alla pari dell’aquila, simbolo della somma autorità: anche a
caccia l’imperatore impersonava consapevolmente il suo altissimo ruolo,
garanzia della pax augustea che a sua volta rispecchiava l’ordine divino
del mondo. In alcune novelle medievali, il falcone si identifica con lo stesso
cavaliere che lo tiene in pugno: ricordiamo per tutte la struggente storia
del Decameron (la LX della V giornata) in cui si narra del dolore del nobile
Federigo degli Alberighi, costretto dall’estrema povertà a sacrificare in
un arrosto improvvisato il falcone amatissimo compagno di caccia per
onorare Giovanna di cui è innamorato. Quando la donna, ignara del tipo di
arrosto che le è stato imbandito, chiederà alla fine del pranzo a Federigo
in dono proprio quel falcone - vivo, però, come amabile compagno di
gioco per il figlio ammalato - per l’innamorato si aggiunge al dolore per la
perdita del falco la disperazione di non poterla accontentare.
Ma certamente per l’imperatore Federico II il falcone, oltre che un
simbolo di sovranità e potenza, è un affascinante esemplare della natura
che richiede, per essere addestrato, una «pratica complessa e eccellente».
Già nelle prime pagine viene in luce il metodo dell’autore. Studiare gli
uccelli rapaci come il falcone - secondo Federico - ci mette in contatto
direttamente con la natura, poiché il rapace non vive generalmente con
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