Page 93 - Federico II - Genio dei tempi
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La lingua è tuttavia diversa e nuova, è appunto il «siciliano illustre»
          purificato dagli aspetti più dialettali e anch’esso segno di una volontà

          di preminenza e identità che vuol distinguersi dal modello occitanico e
          dalla poesia «cortese». Il siciliano illustre è uno strumento aristocratico
          scelto non per raggiungere un pubblico più vasto, ma come mezzo di
          comunicazione raffinato all’interno di una cerchia ristretta e concorde:

          la poesia per i poeti siciliani è un vero «ozio» di sapore antico ai margini
          della professione e tuttavia riflette un orientamento più generale e caro
          all’imperatore. Lo conferma anche la stessa brevità di vita, due generazioni,
          di questa esperienza straordinaria da molti punti di vista.

             La poesia in lingua volgare era familiare a Federico e ai suoi, poliglotti
          come  lui,  che  la  potevano  conoscere  anche  attraverso  i  manoscritti
          conservati a corte; Costanza, la prima moglie di Federico, era del resto
          figlia del «trovatore» re Alfonso d’Aragona, mentre il padre dell’imperatore,

          Enrico  VI,  protettore  dei  Minnesàngerin,  era  stato  anche  lui  poeta.  E
          poeta  era  anche  Giovanni  di  Brienne,  re  di  Gerusalemme  e  padre  di
          Isabella seconda moglie di Federico, autore di componimenti in francese
          e italiano. Il clima culturale del secolo contemplava dunque oramai la

          poesia in lingua volgare come parte integrante del profilo intellettuale del
          signore, del cortigiano e dell’artista.
             Le occasioni di incontro e scambio erano del resto numerose, come ci
          testimoniano i documenti: la politica portava l’imperatore e i suoi a contatto

          con gli scriptoria veneti e con la corte dei da Romano, a sua volta centro
          di una vivace attività editoriale della lirica in lingua d’oc proprio negli anni
          immediatamente precedenti alla nascita della scuola siciliana. Nonostante
          l’influenza di un modello così forte come quello dei trovatori, la scuola

          dei poeti siciliani rimane un fenomeno originale e davvero straordinario
          soprattutto per l’invenzione linguistica testimoniata nella sua purezza dai
          frammenti conservati nelle carte del filologo cinquecentesco Barbieri.
             A  noi  moderni  sono  giunte  le  raccolte  dei  canzonieri  toscani  del

          Duecento  che  hanno  il  merito  di  averci  tramandato  il  patrimonio,  ma
          epurato dai tratti idiomatici originari: d’altra parte è proprio attraverso
          questa  «traduzione»  toscana  che  Dante  ha  potuto  riconoscere  nella
          lingua  dei  poeti  praefulgentes  la  «pantera  profumata»,  il  suo  modello

          di volgare illustre. C’è nella poesia dei siciliani di corte un’altra novità
          rispetto alla produzione dei trovatori: l’assenza di ogni altro tema che
          non sia l’amore. Intendo il fin’amor, il perfetto amore, naturalmente, che in
          Provenza e in Sicilia è il contesto di raffinata bellezza in cui si svolgono i

          temi della irraggiungibilità della dama, dell’amore come servizio modellato
          sul  rapporto  feudale,  del  segreto  da  mantenere  nel  rapporto  d’amore.



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