Page 57 - Federico II - Genio dei tempi
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manifesta la sua gloria per tramite di pochi uomini affinché tutte le genti
          vedano e riconoscano che Egli è terribile nel suo dominio, glorioso nella

          sua maestà, miracoloso nei suoi disegni sopra i figli dell’uomo e... unisce
          in uno i cuori di tutti i popoli. Infatti in pochi giorni grazie alla sua forza più
          che al nostro valore si è compiuta felicemente quell’opera che nei tempi
          passati molti principi che avevano folle immense al loro seguito e erano

          temibili non furono in grado di compiere [MGH, Legum sectio IV].
             Un notevole motivo di difficoltà rappresentano per Federico i rapporti
          intricati con i vassalli cristiani del regno di Gerusalemme, eredi dei nobili
          che avevano guidato la prima crociata: la loro posizione si era rafforzata

          nel  lungo  intervallo  durante  il  quale  non  era  stato  presente  un  vero
          sovrano autorevole. E ancora: gli Ibelin sconfessano il loro vassallaggio
          all’imperatore, il quale aveva concesso ai cavalieri Teutonici i territori che
          secondo il diritto vigente (ma la matassa era oggettivamente intricata)

          appartenevano alla principessa Alice di Armenia. Federico in questo caso
          deve piegarsi. Il progetto di trapiantare nel cuore della cristianità la sua
          idea imperiale di sovranità è fallito.
             Oramai Federico ha fretta di tornare nel suo regno siciliano e combattere

          il papa che ha reso palesi i suoi piani minacciosi, ma c’è ancora un nodo
          da sciogliere. Chi sarebbe stato il reggente in sua assenza? La scena
          di  un  imperatore  che  fugge  da  Acri  imbarcandosi  di  nascosto  non  è
          certo  decorosa,  ma  le  cose  vanno  proprio  così:  la  situazione  diventa

          pericolosa. Salva Federico dalla folla inferocita - che riconosciutolo gli
          lancia addosso i resti marci del mercato - proprio Giovanni Ibelin signore
          di Beirut, colui che l’imperatore aveva strapazzato a Cipro al suo arrivo in
          Oriente. Giovanni allontana autorevolmente i ribelli e dalla riva chiede a

          gran voce all’imperatore già sulla nave il nome del prescelto a governare
          la Terrasanta. Due signori a lui favorevoli, Baliano di Sidone e Garnier
          l’Alemanno, vengono indicati da un Federico frettoloso e, si può esser
          certi, infastidito da tutti quei problemi che ritardano la sua partenza e

          lo distolgono dai suoi progetti oramai rivolti all’Italia. La scena, dunque,
          si risolve a favore di Giovanni Ibelin che con tutta evidenza ha salvato il
          sovrano di Gerusalemme da una figuraccia, se non da peggio.
             Certo,  Gerusalemme  non  è  più  alla  partenza  di  Federico  nel  1229,

          almeno  per  il  momento,  in  mano  ai  musulmani:  le  fortificazioni  della
          città saranno restaurate, qualche nuova struttura sarà elevata, come il
          Cenacolo sul Monte Sion. Il rapporto fra al-Kàmil e l’imperatore non si
          interrompe quando Federico lascia la Terrasanta e continua attraverso

          accordi politici e commerciali testimoniati anche dallo splendido dono
          che gli ambasciatori egiziani recarono a Melfi anni dopo: un padiglione



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