Page 56 - Federico II - Genio dei tempi
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che, con un semplice gesto («presesi la gran barba con mano»), ordina
          a due suoi fedeli «assassini» di gettarsi dalla torre e morire. «Assassini»

          erano chiamati un gruppo di ismaeliti libanesi che, come raccontò più
          tardi Marco Polo, obbedivano ciecamente al loro capo, il Grande Vecchio
          della Montagna, facendo strage di infedeli per la gloria dell’Islam. Secondo
          la leggenda, erano giovani allevati alla obbedienza più estrema, fino alla

          morte, attraverso il miraggio del premio del paradiso fatto intravedere e
          promesso in sogni provocati da opportune elargizioni di droga. L’hashish
          (da qui il nome assassini) li avrebbe mantenuti in uno stato mentale di
          eccitazione e dipendenza rendendoli pronti a sacrificare la vita.

             Ancora una volta dobbiamo constatare che Federico è sovente avvolto
          in racconti che gettano su di lui una luce sinistra: con questa leggenda,
          per esempio, si sottolineava che la curiosità dell’imperatore per la setta
          degli assassini forse non era casuale e disinteressata. Federico intendeva

          istruire e allevare a sua volta un gruppo di pugnalatori ai suoi ordini per
          sbarazzarsi rapidamente dei suoi nemici cristiani. Leggenda promossa o
          enfatizzata naturalmente dall’ambiente della Curia pontificia.
             Ai cavalieri Teutonici che lo avevano aiutato Federico assegnò Nazareth

          e  Tiberiade,  e  questo  gli  procurò  la  definitiva  inimicizia  dei  Templari
          e  degli  Ospedalieri.  D’altra  parte  i  mercanti  cristiani  di  Acri  e  Tiro  si
          trovavano in difficoltà con quelli musulmani di Damasco proprio per la
          presenza ingombrante delle forze imperiali: un pellegrinaggio a una città

          insignificante  economicamente  come  Gerusalemme  non  valeva  certo
          ai loro occhi la relazione pacifica e fruttuosa con la ricca Damasco. Il
          patriarca di Gerusalemme Geraldo, per non avere nulla a che fare con uno
          scomunicato, non solo non intendeva essere presente alla incoronazione

          di Federico al Santo Sepolcro ma aveva ordinato al vescovo di Cesarea
          di colpire con l’interdetto la Città Santa che ospitava il ribelle imperatore.
          Una situazione incredibile: il vincitore che aveva guidato la crociata, un
          sovrano dell’importanza di Federico II, avrebbe praticamente appestato

          la città con la sua presenza.
             Entrato a Gerusalemme il 17 marzo, il giorno dopo Federico nella chiesa
          del Santo Sepolcro, rivestito dal manto imperiale ma senza vescovo e
          senza messa, prende la sua quarta corona e se la pone da solo sul capo:

          non c’è evidenza maggiore della singolarità di questo atto, anche se non
          voluto e non progettato, che il potere regale gli deriva direttamente da Dio.
          La vicinanza di Federico al sovrano divino è in quel momento stretta. Egli si
          sente vicino a Lui come un angelo e simile agli angeli la sua persona si alza

          sopra i popoli. Il Signore Iddio che compì grandi miracoli non dimenticando
          l’antica misericordia rinnova nel nostro secolo i miracoli... come ora che



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