Page 54 - Federico II - Genio dei tempi
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L’arrivo di Federico era svantaggioso oramai anche per al-Kàmil, che
          non aveva più via libera nell’occupazione delle terre del fratello. I due

          che prima erano d’accordo nello spartirsi i territori diventano rivali e si
          mostrano con eleganza e diplomazia i muscoli. A sciogliere una situazione
          insostenibile per Federico giungono le notizie provenienti da Damasco: la
          città rimane fedele al defunto fratello di al-Kàmil combattendo le truppe

          nemiche con ostinazione. Al-Kàmil è quindi in difficoltà.
             Federico infine la spunta: con il trattato di Giaffa, che prevede una durata
          di dieci anni, Gerusalemme viene «liberata» ma in condizioni disastrose:
          gran parte delle mura abbattute, danneggiata la torre di Davide. Del resto

          non si tratta di una liberazione totale, ai cristiani è proibito l’accesso al
          monte  del  Tempio  e  alla  spianata  delle  due  moschee  che  rimangono
          un luogo sacro per i musulmani, ma è consentito stare a Betlemme e
          Nazareth  raggiungibili  attraverso  un  percorso  che  si  snoda  in  territori

          ostili. L’accesso a Hebron è vietato. Queste erano le concessioni di al-
          Kàmil viste dai seguaci di entrambi i contendenti come un tradimento,
          quasi una sconfitta per ambedue le parti.
             I  cristiani,  soprattutto,  rimproveravano  a  quello  che  avrebbe  dovuto

          essere il loro eroe, Federico, di non aver affrontato con le armi il nemico
          infedele, di non averlo annientato nel sangue ma di aver concordato con
          lui, come un mercante, la restituzione della Città Santa. Una città per giunta
          inerme,  rovinata,  senza  altro  valore  se  non  quello  simbolico.  Secondo

          le cronache arabe, al-Kàmil, criticato a sua volta per aver abbandonato
          Gerusalemme in mani cristiane, dichiarava ai suoi di aver concesso a
          Federico solo «qualche chiesa e un pugno di case in rovina mentre la
          venerata Rocca e gli altri Luoghi Santi dell’Islam rimanevano in mano

          ai musulmani». Il parere del patriarca cristiano Geroldo era altrettanto
          sprezzante: «Soltanto ai tedeschi di Federico sta a cuore di visitare il
          Santo Sepolcro e sono stati gli unici a illuminare la città e a cantare di
          gioia... Gli altri pensano che tutto sia una grande sciocchezza».

             Peccato  che,  con  ogni  probabilità,  non  sia  vero  il  racconto  della
          prima sera passata da Federico a Gerusalemme, in una città immersa
          nel silenzio, senza il canto dei muezzin. Si narra infatti che, per cortesia
          verso il cristiano imperatore, al-Kàmil avesse ordinato ai muezzin di non

          disturbare nella notte il sonno di Federico con i loro inviti alla preghiera
          lanciati dall’alto dei minareti. Ma sembra che al mattino Federico si sia
          lamentato di non avere potuto ascoltare la loro voce, che doveva essergli
          stata familiare e gradita in passato nelle notti siciliane. Un atteggiamento,

          il suo, fatto per ingraziarsi la simpatia dei fedeli dell’Islam?
             Per una volta (escludendo naturalmente le rappresentazioni ingiuriose



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