Page 52 - Federico II - Genio dei tempi
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suo soggiorno nell’isola alcune cronache e un vivace e fazioso resoconto
          di Filippo da Novara, partigiano degli Ibelin, a cui Federico decisamente

          non piaceva. Vale la pena di soffermarci su questa turbolenta sosta a
          Cipro, che ci dà il quadro dello scontro e dell’intreccio dei poteri fra i
          cristiani  di  Terrasanta.  Il  resoconto  ci  restituisce  nella  sua  pittoresca
          realtà le relazioni complesse fra personaggi che si rifanno da una parte

          ai  costumi  dell’Occidente  e  a  quei  brandelli  dell’etica  cavalleresca
          sopravvissuta dopo decenni di vita Oltremare e d’altra parte sono oramai
          intrisi di abitudini e modi di essere tipici dell’Oriente islamico.
             Che ragione aveva l’imperatore per sostare a Cipro? Una buona ragione:

          l’isola era un regno vassallo dell’impero. Giovanni Ibelin, signore di Beirut,
          governava  l’isola  in  nome  di  un  re  ragazzo,  Enrico,  della  famiglia  dei
          Lusignano alla quale Enrico VI, padre di Federico, aveva affidato il regno
          di Cipro, rivendicato ora dall’imperatore come feudo dell’impero. Giovanni

          Ibelin  con  i  suoi  vasti  possedimenti  in  Terrasanta  era  un  personaggio
          notevole da tener d’occhio nelle complesse trattative che l’imperatore
          doveva affrontare. Ma il signore di Beirut reggente a Cipro aveva tuttavia
          nemici e oppositori all’interno del piccolo regno, gente scontenta della

          sua  amministrazione,  persuasa  di  essere  stata  trattata  ingiustamente
          e  pronta  a  prendere  al  volo  l’occasione  di  ribaltare  completamente  la
          situazione. Quando l’imperatore lo mandò a chiamare si può immaginare
          che  Giovanni  fosse  perlomeno  allarmato.  Comunque  non  poteva  che

          correre il rischio. Sembra che all’inizio l’incontro fra l’imperatore e il suo
          vassallo sia stato cordiale, tanto che Federico invitò Giovanni e i suoi a
          un banchetto. Federico aveva già un piano: volle che i figli del suo ospite
          servissero  a  tavola  e  dispose  i  posti  in  modo  che  tutti  i  commensali

          potessero vedere frontalmente lui, l’imperatore. «All’ultima portata del
          pranzo un gruppo di armati istruiti da Federico uscì da un nascondiglio,
          si  impadronì  del  palazzo  e  del  cortile  principale  e  si  schierò  davanti
          all’imperatore con le mani pronte sulle armi, coltelli e spade».

             Ad alta voce Federico si rivolse a Giovanni chiedendogli di rinunciare
          al feudo di Beirut e di consegnare le rendite degli ultimi dieci anni: «per
          prima cosa - disse - dovete consegnarmi la città di Beirut perché mai
          l’avete avuta e tenuta per diritto; e poi dovete restituire tutti i redditi che

          avete ricevuto come reggente di Cipro poiché questo è il mio privilegio
          secondo l’usanza dell’impero».
             Al rifiuto di Giovanni espresso in modi cortesi ma fermi, Federico si
          lasciò andare a una scena di furore e minacce nelle quali, pare, quando

          voleva era maestro. Le cose presero abbastanza presto un andamento
          meno violento: ci si accordò, anche se faticosamente sulla proposta di



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