Page 46 - Federico II - Genio dei tempi
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esplicitamente Bonifacio in quella occasione.
             Più innovativa la riscoperta della Roma repubblicana, con i suoi consoli,

          il senato e il suo popolo, modello potente a cui si era ispirato un secolo
          prima Arnaldo da Brescia e al quale guarderà nel Trecento Cola di Rienzo.
          Il comune romano, rifacendosi alle leggi antiche, rivendica un ruolo nella
          designazione  dell’imperatore  scontrandosi  con  l’alleanza  formidabile

          dell’impero  germanico  e  del  papato  uniti  in  quella  occasione  nella
          repressione della pretesa laica e ribelle. Giovanni di Salisbury riportando
          il pensiero di Arnaldo da Brescia aveva scritto che «Arnaldo sosteneva
          che non si poteva ammettere che un uomo, il papa, volesse imporre il

          giogo della servitù a Roma sede dell’impero, fonte della libertà e signora
          del mondo».
             Ma nella realtà e non nei sogni «Roma non poteva trarsi dal fianco il
          dardo senza morire» (Falco 1988), dove «dardo» significa «papato».

             Questo era il paesaggio singolare e la realtà complessa che Federico
          attraversava  per  recarsi  al  luogo  dell’incoronazione  in  quel  giorno  di
          novembre del 1220. In San Pietro, dove i senatori del popolo romano si
          mettono alla sua destra per reggergli la briglia mentre il pontefice in trono

          sul gradino più alto della piazza lo aspetta circondato dai cardinali e dal
          clero, Federico bacia il piede di Onorio e gli porge l’oro secondo l’usanza.
          Onorio lo abbraccia a sua volta e con lui si avvia verso la cappella di
          Santa Maria in Turribus. L’unzione sacra che un tempo toccava anche il

          capo si limita questa volta alle spalle e all’avambraccio destro e il papa
          impone sulla testa di Federico la corona e lo tocca con la spada come
          spetta a un «soldato di San Pietro». Infine nelle navate si alza il canto
          solenne: «Salute e vittoria a Federico invitto imperatore dei Romani e

          sempre Augusto».
             A ventisei anni, con una rapida e in fondo non molto cruenta ascesa, il
          ragazzo degli Svevi si trova al culmine della gerarchia dei sovrani europei.
          La strada dell’esercizio reale del potere è però altra cosa.







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             Rimaneva da compiere la promessa fatta ad Aquisgrana oramai cinque
          anni prima, nel giorno dell’incoronazione con l’assunzione del segno della
          crociata.

             L’esercito dei cristiani era assediato a Damietta sul delta del Nilo e il
          papa Onorio III vedeva e indicava nella partenza di Federico per l’Oriente



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