Page 43 - Federico II - Genio dei tempi
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Nel  1217,  un  anno  prima  della  morte  di  Ottone,  Federico  li  ottiene
          finalmente in consegna: era difficile negarglieli dopo la dichiarazione così

          solennemente fatta nella cattedrale di Aquisgrana, che aveva aggiunto
          alla dignità imperiale quella del milite consacrato a Cristo. Ma la corona
          era quasi inerte, o meglio «invisibile», se non veniva posta sul capo di
          Federico da chi ne aveva la potestà e dichiarava solennemente di avere,

          solo lui, questa potestà, il pontefice.
             Quindi bisognava andare a Roma e, per arrivarci, attraversare le terre
          italiane del Nord dove molti dei comuni fin dal 1212 si erano schierati per
          Ottone di Brunswick. Milano era sempre a capo dei ribelli, Cremona stava

          invece, come negli anni dell’awenturosa e fortunata ascesa di Federico al
          potere imperiale, ancora lealmente dalla sua parte.
             Per opera del papa e a causa della scomparsa definitiva del campione
          avversario, Ottone, le due città rivali arrivano nel 1220 ad un armistizio e

          di conseguenza a una pacificazione. La via verso Roma per Federico è
          dunque aperta.
             Prima  di  giungere  nella  città  sacra,  Federico  deve  però  ascoltare  a
          Bologna le accuse dei legati pontifici: il nuovo papa Onorio III - succeduto

          nel 1216 a Innocenzo III - lo rimprovera per aver permesso che il figlio Enrico
          fosse eletto re dei Romani nella primavera del 1220 a Francoforte, prima
          della partenza di Federico per l’Italia, e soprattutto per non aver tenuto
          presente l’importante promessa di mantenere nettamente separate le due

          corone, l’imperiale e la siciliana. Con una sola mossa da grande giocatore,
          Federico  con  l’elezione  del  figlio  (avvenuta  in  sua  assenza,  come  egli
          stesso non manca di ricordare) aveva impostato con decisione, se non
          risolto, la complessa questione germanica: di fatto si era costituito nelle

          terre tedesche un governo locale, che avrebbe permesso all’imperatore
          libertà di manovra e lasciato tempo per dedicarsi ai problemi italiani e al
          regno di Sicilia.
             Quanto alla crociata, il pontefice ricorda a Federico la dichiarazione

          fatta ad Aquisgrana. La prima lettera scritta da Federico in terra italiana
          è una risposta al pontefice proprio su questo punto: lo ringrazia della
          sua benevolenza e dichiara di sottomettersi volentieri alle penitenze che
          Onorio gli vorrà infliggere per non essere ancora partito per la crociata.

          Non si riconosce però colpevole mostrando nel contempo espressioni di
          rispetto per la chiesa e il suo papa.
             Da Genova, alleata dei tempi difficili (che si vantava come proclamava il
          suo nome di essere stata la porta, lanua, dell’impero), una ambasceria era

          venuta a ricordare all’imperatore un atto di concreta riconoscenza riguardo
          al problema delle esenzioni fiscali concesse a suo tempo da Marcovaldo



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