Page 38 - Federico II - Genio dei tempi
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per  catturarlo,  ma  al  quale  lui  sfugge,  forse  poco  regalmente,  su  un
          cavallo senza sella per giungere finalmente in salvo nella città amica.

          «Federico bagnò il fondo delle braghe nel fiume», scrive sprezzante un
          cronista  milanese  interpretando  appieno  la  poca  stima  che  avevano  i
          suoi concittadini di quel ragazzo povero e, pareva a loro, senza un grande
          futuro.

             Ma da qui in avanti la marcia di Federico avviene sotto l’ala della fortuna:
          da Cremona passando per Mantova e Verona raggiunge Trento per la
          valle dell’Adige. Piegando a occidente arriva in Engadina in settembre.
          Lo  accompagnano  le  lettere  del  papa  che  chiede  ai  suoi  vescovi  di

          appoggiare quello che presenta oramai come il suo campione.
             A Costanza, ancora un colpo di fortuna: il rivale Ottone di Brunswick
          è già pronto per entrare nella città e, sicuro della buona accoglienza, ha
          mandato avanti i servi e i cuochi che devono preparare il gran banchetto

          per l’imperatore scomunicato. Qui avviene l’incredibile, che tale però non
          è se pensiamo alla potente influenza del pontefice che si estende fino
          alle terre di Germania. Federico arriva alle porte della città di Costanza
          qualche ora prima dell’atteso Ottone, chiede di essere accolto ma riceve

          a tutta prima dal vescovo un rifiuto netto. Tuttavia quando il legato di
          Innocenzo  III,  l’arcivescovo  Berardo  di  Bari,  informa  il  vescovo  della
          scomunica inflitta al guelfo, la situazione cambia di colpo e la città, già
          preparata per accogliere Ottone, festeggia Federico.

             Fortuna chiama fortuna: a Basilea Federico entra accompagnato da
          un seguito ben diverso. Con lui ci sono i vescovi di Coirà, di Costanza, di
          Strasburgo, l’abate di San Gallo e i loro cavalieri. Il «fanciullo di Puglia»,
          il «piccolo Davide» (l’espressione è di Innocenzo III), quasi senza colpo

          ferire - questo è sotto gli occhi di tutti - sconfigge Ottone, un guerriero
          maturo e esperto, un gigante robusto, circondato all’inizio da un ampio
          consenso, un ricco signore protetto da un sovrano, Giovanni d’Inghilterra,
          un imperatore dagli inizi così promettenti.

             Il biografo più celebre di Federico, il Kantorowicz (1988), nel narrare
          quella cavalcata incredibilmente fortunata verso il titolo imperiale, mette in
          grande rilievo l’efficacia del comportamento liberale e magnanimo tipico
          del giovane re siciliano, che attirava a sé in questo modo l’ammirazione

          della folla e l’elogio dei poeti creandosi una immagine già vincente. C’è
          forse  anche  del  calcolo  nell’atteggiamento  di  Federico?  L’imperatore
          scrive: «La ragione ci spinge ad essere generosi facendoci riflettere che il
          nostro nemico che ha agito all’opposto si è in tal modo attirato l’inimicizia

          degli uomini e la punizione divina». Calcolo, ossia ragione.
             Ma sicuramente è soprattutto per inclinazione innata, per conformità a



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