Page 37 - Federico II - Genio dei tempi
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aperta,  occhi  luminosi,  una  statura  perfetta  e  un  portamento  tale  da
          incantare  e  sedurre?  Dei  re  si  è  quasi  sempre  scritto  in  quei  secoli

          che  erano  nobili  d’aspetto  e  affascinanti,  anche  se  sappiamo  da  altre
          testimonianze che avevano il mento debole o il naso troppo grosso o gli
          occhi piccoli. I ritrattisti faranno giustizia delle lodi esagerate, tributate
          dai letterati e dai cronisti cortigiani ai loro signori, quando l’attenzione alla

          realtà e la capacità di rappresentarla diventeranno le qualità artistiche
          più  apprezzate.  Per  Federico  non  abbiamo  questa  possibilità  e  ce  lo
          possiamo solo immaginare.
             Se  non  fu  fascino  personale  fu  sicuramente  fortuna,  quella  buona

          questa volta, che però, è bene ricordarlo, come scrive Boezio «è sempre
          pronta a lusingare gli uomini facendo balenare allo sguardo le attrattive
          di una ingannevole felicità... Ma affidarsi alla fortuna equivale a sottostare
          agli ordini di una padrona». Molte azioni dell’ancor giovanissimo Federico

          mostrano che per il nostro Svevo non era così.
             Federico dunque lascia l’isola, ma prima fa incoronare il piccolo Enrico
          re di Sicilia e affida la reggenza alla moglie Costanza: questo dovrebbe
          bastare  per  tener  tranquillo  il  pontefice  che  ha  sempre  perseguito  il

          disegno di tenere le due corone, di Sicilia e di Germania, separate. Roma
          («la città delle città») è naturalmente la prima tappa, in aprile, del viaggio
          del  giovane  sovrano:  a  diciassette  anni  questa  è  la  prima  volta  che
          Federico e il suo ex tutore, Innocenzo III, si incontrano.

             Accolto  con  tutti  gli  onori,  lo  Svevo  presta  al  papa  giuramento  di
          vassallo secondo la tradizione dei re normanni e si riconosce sovrano
          «per grazia di Dio e del papa». In cambio riceve aiuto e una notevole
          somma di denaro. È sicuro di essere stato accolto dal «popolo di Roma

          come da una madre» che lo ha invitato a correre nelle terre germaniche
          dell’impero. Questa idea domina ora i suoi pensieri e i suoi sogni e sarà
          ripresa allo stesso modo nella poesia dei suoi poeti cortigiani. La realtà
          tuttavia al momento è un po’ diversa, più povera e precaria. Con i soldi del

          papa, su navi genovesi prese a nolo, Federico è costretto dopo lo sbarco
          a Genova a fermarsi perché le vie del nord sono sbarrate dai suoi nemici.
          I genovesi, per rivalità con i pisani soprattutto, gli fanno altri prestiti in
          denaro (come Pavia, del resto) : insomma, scommettono su di lui sicuri

          che sarà loro grato «quando diventerà imperatore».
             Il viaggio verso la corona imperiale è un’avventura piena di pericoli: i
          piacentini sulle imbarcazioni lo cercano notte e giorno lungo le rive del
          Po e del Lambro aiutati dai milanesi. I cittadini di Pavia e di Cremona al

          contrario lo aiutano e giurano di portarlo in salvo. E a Cremona, appunto,
          Federico ripara dopo un assalto non previsto dei milanesi che stanno



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