Page 45 - Federico II - Genio dei tempi
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comuni e la rappresentazione del potere, qualcosa che Federico poteva
          apprezzare.

             Dall’XI secolo fino al Duecento la popolazione romana era senz’altro
          aumentata,  ma  Roma  era  ancora  delimitata  dalle  mura  Aureliane  che
          disegnavano  uno  spazio  grandissimo  interrotto  da  pascoli  estesi.  Una
          singolare visione fra il rurale e il monumentale in rovina che continuerà ad

          affascinare i pellegrini e poi i turisti per molti secoli. Una città diversa da
          tutte le altre italiane ed europee, con una organizzazione sociale e politica
          unica,  «capitale  di  uno  stato  atipico  confessionale  e  sovranazionale
          e insieme sede di un comune gestito da laici che si accetta solo come

          capitale per ragioni religiose e non politiche» (Miglio 2001).
             L’influenza del passato antico non era solo visibile drammaticamente
          nelle  rovine  ma  sopravviveva  nella  gestione  rituale  delle  celebrazioni
          ecclesiastiche  (compresa  l’incoronazione  degli  imperatori)  come

          riflesso di una vita più alta e nobile per la quale si provavano rimpianto e
          ammirazione.
             Dal XII secolo il mito di Roma antica diventa più complesso nei testi
          e nell’immaginario: vengono alla ribalta tre immagini di città, la Roma

          repubblicana, la imperiale e quella cristiana. Questa era viva da secoli e
          durerà ben oltre il medioevo non solo come la Roma di San Pietro, ma
          anche come la Roma di tutti i martiri che lì avevano trovato la morte.
          Santa Brigida di Svezia si sentirà invitata da una voce a visitare Roma,

          dove «le piazze sono ancora rosse del sangue dei martiri».
             Ma, sempre dopo il Mille, si fa più evidente la renovatio della Roma
          imperiale sia da parte della chiesa sia dei sovrani tedeschi. Il Barbarossa,
          nonno  di  Federico,  aveva  fatto  coniare  monete  con  l’immagine  del

          Colosseo per illustrare la sua opera di recupero delle prerogative imperiali
          contro  i  comuni  ribelli.  La  chiesa,  dal  canto  suo,  inizia  una  vigorosa
          opera di appropriazione dell’idea imperiale sia sul piano monumentale
          sia su quello giuridico. Alcuni esempi fra i tanti mettono in luce questo

          lento ma inarrestabile progetto: Santa Maria in Trastevere fu ricostruita
          sotto il papa Innocenzo II con pezzi di spoglio provenienti dalle terme
          di Caracalla, qualcosa che andava al di là del riuso, e negli stessi anni
          fu  emesso  un  editto  che  minacciava  punizioni  a  chi  danneggiasse  la

          Colonna Traiana e quella di Marco Aurelio «che per l’onore del popolo
          di Roma e della chiesa dovrà rimanere integra e intatta finché il mondo
          avrà  vita».  Quanto  all’aspetto  giuridico,  che  dire  delle  affermazioni  di
          Gregorio VQ, consapevole di poter «disporre delle insegne imperiali»?

          O di Bonifacio Vili, che si presenterà rivestito proprio da quelle insegne
          davanti  ai  cardinali?  «Ego  sum  Caesar,  ego  sum  imperator»,  dichiara



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