Page 44 - Federico II - Genio dei tempi
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von Anweiler e dei privilegi commerciali che nel 1212 lo stesso Federico
aveva riconosciuto alla città. Sono passati però otto anni e Federico ha
ora problemi strategici e di gestione del potere ben diversi da quelli del
ragazzo malmesso e ambizioso che era partito per la Germania con più
speranze che progetti concreti: conferma quindi ai genovesi i privilegi per
quel che si riferisce alle terre dell’impero e alla Lombardia ma rimanda al
futuro ciò che in fondo più interessa ai suoi alleati, e anche a lui, la Sicilia
con le sue coste e i suoi porti.
All’inizio di ottobre, avvicinandosi a Roma, Federico invia al pontefice
una ambasceria, di cui fa parte il Gran Maestro dell’Ordine teutonico,
Ermanno di Salza. Gli risponde poco dopo una ambasceria papale che
gli ricorda per l’ennesima volta la promessa (sempre un po’ vaga) di non
vantare diritto sul regno di Sicilia, raccomandandogli di non usare il sigillo
reale. Il giorno della incoronazione sarebbe stato il 22 novembre, ultima
domenica dell’Avvento.
Qual era l’aspetto della città di Roma in quel novembre del 1220?
Federico e la regina Costanza che lo aveva accompagnato per la cerimonia
la potevano ammirare dall’alto di Monte Mario prima di discendere per
l’antica via Trionfale.
L’impressione generale era verosimilmente simile ma accentuata
rispetto a quella che, più di un secolo dopo (comunque prima del flagello
della Morte Nera del 1348), avrà Francesco Petrarca in una delle sue
famose e pensose passeggiate: «cammino per quella città così vasta che
pur sembrando deserta per i suoi ampi spazi vuoti ha una popolazione
immensa». Immensa? Fra Due e Trecento Roma aveva trentamila abitanti
o poco più (sette secoli prima, nel V secolo, aveva ancora 450.000
abitanti). Un paragone con le altre città italiane, in ascesa a differenza
di Roma, è interessante. Genova e Verona ne avevano trentamila, Milano
quasi centomila, Venezia settantamila.
Ma Roma era stata l’Urbe e il centro dell’impero e la sproporzione
fra i grandi spazi incolti o comunque disabitati e le rovine degli edifici
antichi così imponenti e monumentali da sembrare produzioni di giganti
costruite per essere abitate da uomini dell’età dell’oro, doveva essere
impressionante. Un’impressione che durerà per lungo tempo: meno di
due secoli fa (nel 1822), Leopardi scriveva alla sorella le sue impressioni
su questa città immensa e vuota, evidente traccia di una civiltà remota e
quasi incomprensibile, con queste parole: «Tutta la grandezza di Roma
non serve ad altro che a moltiplicare le distanze... queste fabbriche
immense, queste strade interminabili sono tanti spazi gittati fra gli uomini
invece di essere spazi che contengono uomini». Spazi gettati fra gli uomini
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