Page 31 - Federico II - Genio dei tempi
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i divieti non sarebbero bastati: gli è da molti riconosciuta la saggezza di
          aver capito l’importanza delle forze spirituali del suo tempo e il pericolo che

          la chiesa si isolasse dalla vita più profondamente religiosa dei movimenti.
          Di fronte a queste forze e alla loro varietà di risposte assistiamo a una
          vivace reazione che va dalla dura persecuzione all’entrata di nuove forme
          di vita cristiana nella chiesa di Roma.

             Non fu questo il caso degli albigesi, che derivano il loro nome dalla città
          di Albi, roccaforte dei catari negli anni dopo la predicazione condotta
          nel Mezzogiorno francese dall’abate Bernardo di Clairvaux alla metà del
          secolo XH. L’eresia catara era in quella località un fenomeno non popolare

          ma d’elite, condiviso da notabili, mercanti, giuristi e anche da membri di
          casate nobili. Si presentava come una nuova chiesa di «buoni cristiani»,
          rivendicando la filiazione apostolica contro l’usurpazione di Roma. Tutti i
          sacramenti degli albigesi venivano riassunti nel battesimo dello Spirito o

          consolamentum che, identificando i catari come comunità e cancellando
          il  peccato  originale,  assicurava  la  salvezza  eterna.  Il  consolamentum
          equivaleva anche a una ordinazione conferendo agli uomini e alle donne
          la facoltà di predicare e il potere di «sciogliere e legare» secondo le parole

          del Vangelo di Matteo (XVI,19).
             La  prima  azione  repressiva  contro  i  cristiani  di  Albi  e  Carcassonne,
          diretta contro il conte di Tolosa, inizia sotto il pontificato di Innocenzo
          III (forse il papa non l’aveva voluta ma nemmeno l’aveva impedita). La

          «crociata» (1209-29) decima i catari, istituisce i grandi roghi e decapita
          il movimento. Da allora gli albigesi sono costretti alla clandestinità e poi
          destinati all’annientamento che si compie alla metà del Duecento.
             La vicenda degli umiliati è completamente differente: nel rapporto del

          papato verso il movimento è operante quella distinctio, fra ostinati eretici
          e fedeli recuperabili all’obbedienza, che Innocenzo aveva raccomandato
          come linea di azione nei confronti di coloro che sembravano allontanarsi
          dal  magistero  della  chiesa.  Costoro  per  rientrare  pienamente  nella

          chiesa,  raccomandava  il  papa,  dovevano  ritrattare  le  loro  credenze
          eretiche sotto giuramento, impegnandosi a conservare la «vera fede» e a
          rendere omaggio al pontefice romano. Fin dal 1199 due capi degli umiliati
          erano arrivati a Roma in rappresentanza della comunità, sottoponendo

          al pontefice le norme secondo le quali avevano fino ad allora vissuto e
          intendevano vivere in futuro.
             La procedura da seguire perché i propostici arrivassero all’esame di
          Innocenzo era lunga. Passarono due anni e nel giugno del 1201 fu redatta

          infine la nuova regola degli umiliati: in essa alcune norme proprie del vivere
          della comunità venivano conservate insieme ad altre che provenivano



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