Page 26 - Federico II - Genio dei tempi
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di Cristo. «Tutti noi [cristiani] siamo membra del corpo di Cristo», aveva
          scritto san Paolo, ma per Innocenzo III, vicario di Cristo, il corpo del quale

          fanno parte i cardinali e il clero è il corpo stesso del papa.
             Il manto rosso che il papa aveva il diritto di portare sulle spalle aveva una
          lunga tradizione risalente alla cappa regalata dall’imperatore Costantino
          a Silvestro I e si ispirava anche alla veste rossa del Sommo Sacerdote

          nell’Antico Testamento e al sangue versato da Cristo nel suo martirio.
          Il bianco della tunica, candida come quella dell’imperatore di Bisanzio,
          alludeva al contrario alla Resurrezione e alle bianche vesti delle «persone
          celesti». Ma i rimandi si intrecciano e scivolano l’uno sull’altro. La più

          esplicita spiegazione la troviamo in un testo del Duecento del liturgista
          Guglielmo Durando: «Il sommo pontefice appare sempre vestito di un
          manto rosso all’esterno e bianco all’interno. Il bianco significa innocenza e
          carità mentre il rosso è simbolo di compassione. Il papa infatti rappresenta

          la persona di Colui le cui vesti diventarono rosse per il sangue versato
          nel martirio» (cit. in Paravicini Bagliani 1994a). Sul capo la tiara indicava
          la speciale regalità papale, che si estendeva nella teoria del pontefice
          anche sugli uomini nella loro vita terrena, civile e politica.

             L’anno 1199 è un anno importante per rintracciare le linee della politica di
          Innocenzo a proposito del destino del suo pupillo e dell’«affare dell’impero»
          {negotium imperii), secondo il linguaggio della cancelleria papale. Nel
          maggio di quell’anno il partito degli Hohenstaufen dichiara solennemente

          a Spira che l’elezione di Filippo di Svevia a imperatore è l’unica fondata
          sul diritto, e manda a dire orgogliosamente a papa Innocenzo: «Verremo
          a Roma e tu incoronerai il nostro signore Filippo».
             A  questo  proposito  le  lettere  raccolte  nel  Regestum  super  negotio

          Romani imperii della Curia pontificia testimoniano qualche incertezza sul
          problema e forse anche una carenza di informazione nella Curia papale:
          sembra che il pontefice non abbia valutato correttamente l’impatto della
          morte di re Riccardo d’Inghilterra, avvenuta in quell’anno, sulla fortuna

          di Ottone e abbia creduto che sostanzialmente le posizioni di Filippo e
          Ottone fossero alla pari. Le testimonianze ci dicono invece che lo svevo
          era militarmente in quei momenti più forte, tanto che un numero crescente
          di principi passò nei primi anni al partito dei sostenitori di Filippo. Papa

          Innocenzo pensò a un certo punto a una tregua fra i due rivali, affidando
          all’arcivescovo di Magonza Corrado l’incarico di negoziarla. Sempre nel
          Regestum è custodita una lettera di Ottone che chiede al papa di premere
          affinché alcuni principi tedeschi si decidano in suo favore.

             Nel Natale del 1200 un concistoro segreto di cardinali presieduto dal
          papa prende in esame la situazione dei tre candidati imperiali, Ottone,



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