Page 23 - Federico II - Genio dei tempi
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Il momento era di nuovo gravissimo: i baroni siciliani guidati da un nobile
calabrese erano in rivolta. Ma la fortuna, questa volta amica, aiutò il giovane
re. Il capo dei congiurati fu fatto prigioniero e Federico potè riacquistare
parte delle ricchezze della corona che i suoi vassalli infedeli gli avevano
sottratto anni prima. «Ho costretto i miei figli a quella pace che odiavano
e li ho assoggettati», scrive baldanzosamente il giovanissimo sovrano.
Intanto, in Germania, era accaduto da poco qualcosa che avrebbe
mutato completamente il corso della vita di Federico: lo zio paterno,
l’imperatore Filippo di Svevia, era stato assassinato a Bamberga da
Ottone di Wittelsbach.
Federico maggiorenne in quell’anno lo era diventato davvero: solo
due settimane dopo la scadenza della tutela del pontefice, era entrato
in deciso disaccordo con lui sul problema della elezione dell’arcivescovo
di Palermo. Il vescovo avrebbe dovuto essere eletto dal capitolo della
cattedrale con il consenso del re, ma tre canonici si erano subito appellati
al papa protestando. Federico li espulse immediatamente dal regno e
scrisse una lettera di tono cortese ma assai determinata a Innocenzo,
rivendicando la centralità del suo consenso sovrano. In realtà, secondo il
concordato firmato dalla madre Costanza, il consenso del sovrano doveva
essere ratificato da quello del papa, che in teoria avrebbe potuto anche
non confermare la scelta.
Era questa una libertas della chiesa, un tema cruciale sul quale i sovrani
europei - ricordiamo come esempio la vicenda clamorosa e tragica di
Enrico Plantageneto e Tommaso Becket nel XII secolo in Inghilterra
- da tempo contrastavano le pretese di Roma. Innocenzo III rispose a
Federico in modo paternamente benevolo ma inequivocabile: il giovane
si era lasciato «mal consigliare», se avesse osservato con più attenzione
le cose avrebbe compreso che «il disordine abbattutosi sul regno era
l’effetto dei crimini e degli errori dei suoi antenati che pretendevano di
occuparsi delle realtà spirituali invadendo il potere della chiesa». Il re fu
costretto a richiamare i canonici esiliati.
Il verus itnperator era allora Innocenzo III che non aveva rivali alla sua
altezza: durante il tormentato «scisma imperiale», nei lunghi anni dal 1198
al 1214, fu lui a condurre spregiudicatamente il gioco del potere in Italia e
nell’impero.
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