Page 20 - Federico II - Genio dei tempi
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entusiastiche,  richiamando  accanto  ai  miti  antichi  le  ricchezze  della
          terra  divenuta  allora  «dominio  del  popolo  tedesco»,  come  scriveva

          orgogliosamente. Enrico in persona aveva confermato fra i tedeschi la
          fama del lontano regno, portando con sé in Germania una carovana di
          centocinquanta muli carichi di oro, di pietre preziose, di seta e gioielli che
          era solo una parte del tesoro trovato nella reggia normanna.

             Il miraggio della ricchezza non poteva che scatenare i lupi, gli oppositori
          tedeschi, ma anche i saraceni che, scomparsi da Palermo, si erano ritirati
          nelle montagne di Val di Mazara, i normanni e i franco-normanni, come
          quel Gualtiero di Brienne, genero di Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce

          e re dei normanni, figlio illegittimo di Ruggero duca di Puglia. Gualtiero
          pretendeva per sé le contee di Lecce e Taranto, e in questa rivendicazione
          aveva dalla sua il pontefice (proprio il tutore di Federico! ) che lo giudicava
          in quei momenti un alleato utile ai suoi fini. Gualtiero di Brienne divenne

          il campione di una crociata contro Marcovaldo von Anweiler, alla quale
          partecipò anche un giovane cavaliere di Assisi, Francesco di Pietro di
          Bernardone, il futuro santo. Innocenzo III andava e andrà sempre senza
          scrupoli diritto allo scopo: evitare l’unione o anche solo il sospetto di una

          unione fra l’impero e il regno di Sicilia. Conobbe del resto il suo pupillo
          Federico già tardi, incontrandolo un’unica volta quando il giovane re aveva
          diciassette anni ed era oramai fuori dalla sua tutela: le sue promesse
          di visitare la Sicilia per conoscerlo direttamente erano andate per una

          ragione o per l’altra sempre vuote.
             Altri lupi si aggiravano intorno al trono del piccolo Federico: Marcovaldo
          von  Anweiler,  che  sosteneva  di  essere  stato  nominato  dall’imperatore
          Enrico amministratore del regno, in buoni rapporti con Filippo di Svevia ma

          nemico del papa (che lo chiamava «quello scellerato con il suo seguito di
          nefasti Saraceni») e di Gualtieri di Palearia; i baroni dell’entroterra, che da
          un re forte e da una amministrazione ordinata avrebbero avuto ben poco
          da guadagnare e quindi pescavano nel torbido dell’anarchia; i pisani e i

          genovesi, in contrasto fra loro ma in seguito temporaneamente d’accordo
          nello spartirsi le coste dell’isola per i loro commerci. Oltre i lupi, intorno al
          fragile trono di Federico, si aggiravano come sciacalli i baroni del regno
          voraci della ricchezza delle casse reali.

             Nel 1199 - Costanza era già morta - una lettera di Innocenzo III al vescovo
          di Siracusa ci descrive la situazione dei musulmani e ordina di sorvegliare
          i convertiti e perseguire gli apostati ai quali i beni devono essere confiscati.
          Gli ultimi musulmani rimasti prendono la strada delle montagne, dove

          si chiudono in fortezze e scelgono nella generale anarchia che invade
          il paese il partito del tedesco Marcovaldo. Pochi giorni dopo il papa ci



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