Page 21 - Federico II - Genio dei tempi
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ripensa e scrive un’altra lettera a «tutti i Saraceni di Sicilia con l’augurio di
serbarsi fedeli alla chiesa e al re» mettendoli in guardia contro il tedesco
Marcovaldo. Ma il male oramai era fatto: i musulmani seguirono poco
dopo Marcovaldo fino alla conquista di Palermo.
Quando nel 1201 - Federico aveva sette anni - Marcovaldo von Anweiler,
entrando a Palermo da vincitore, corse al palazzo reale cercando
accanitamente in tutte le stanze, ben presto scoprì in un nascondiglio
il bambino. Una lettera di Roberto vescovo di Capua ci racconta la fiera
e inattesa resistenza di Federico: il bambino si strappò gridando le
vesti davanti al tedesco e si graffiò il corpo. È probabile che Marcovaldo
valutasse rapidamente il peso e le conseguenze di una sfida aperta e
gravissima al pontefice tutore di Federico: decise di risparmiare la vita al
ragazzino. L’episodio impressionò il vescovo di Capua che, scrivendo al
papa, arrivò a paragonare con enfasi Federico al «monte Sinai inviolato
fino all’arrivo di Mosè».
Difficile è credere che la scuola del futuro imperatore siano state la piazza
e il mercato di Palermo, città abitata da gente di ogni tipo, diversa per
lingua e costumi: greci, ebrei, arabi, normanni in Sicilia da più generazioni,
tedeschi... Gente comune e mercanti che parlavano lingue differenti ma
verosimilmente non erano persone di cultura. E una immagine suggestiva
- coltivata entusiasticamente dal grande Kantorowicz (1988) - quella
del re ragazzino che «vaga per i vicoli del mercato e i giardini di quella
capitale mezzo africana dove sorgevano moschee e sinagoghe accanto
a chiese cattedrali normanne ornate di mosaici bizantini... Il contatto con
tutto ciò istruì il ragazzo...». È una rievocazione suggestiva che ha il merito
di render conto non solo della indubbia familiarità di Federico al suono
delle varie lingue e alla vista dei molti stili del paesaggio palermitano,
ma anche di quella impronta tipica del dilettante geniale che conservò
anche nella maturità, e dei suoi interessi e delle sue curiosità aperte su
mondi e temi diversi. Ma è appunto una immagine suggerita dal colore di
quell’ambiente singolare così differente dalle corti dei principi dell’Europa
di allora. Una immagine affascinante, ma senza riscontro, purtroppo.
In realtà le cronache ricordano un certo Guglielmo Francesco della
nobile famiglia dei baroni di Monteforte nel territorio di Avellino, con la
funzione di magister regis presente accanto al bambino re dal 1201 fino al
1209. Il maestro Guglielmo allevava Federico forse secondo quel modello
educativo che Pietro di Blois in una lettera all’arcivescovo di Palermo
ricorda di aver seguito decenni prima, quando stava presso il re di Sicilia
Guglielmo II. Pietro di Blois loda nella lettera le capacità del suo antico
allievo normanno nella poesia, nelle scienze e nella conversazione pari
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