Page 15 - Federico II - Genio dei tempi
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normanni di Sicilia. Nasceva così un potere - teoricamente immenso e
          nella realtà problematico da gestire, perché non unitario formalmente né

          compatto geograficamente - che restò nelle mani di Enrico soltanto sei
          anni, dal 1191 fino al 1197, quando appena trentaduenne l’imperatore morì
          in Sicilia alla vigilia della sua partenza per la crociata in Terrasanta. Sei
          anni di guerre, rivolte e continui contrasti, durissime repressioni.

             Ma  con  quel  matrimonio  il  regno  meridionale  era  stato  unito  a  una
          signoria immensa, che andava dalla Polonia ad Oriente, dalla Danimarca,
          persino dall’Inghilterra - che dopo la cattura di Riccardo Cuor di Leone
          era divenuta tributaria di Enrico - alla Borgogna, terra dell’impero dopo

          le nozze del Barbarossa con Beatrice di Borgogna, fino all’Italia, dove le
          città lombarde non osavano più ribellarsi per difendere le loro libertates e
          dove il pontefice (l’ottantenne Celestino III) controllava soltanto una parte
          della regione intorno a Roma. Ma anche lì «si temeva più l’imperatore che

          il sacerdote».
             Il padre di Costanza d’Altavilla, Ruggero II, attribuendosi il titolo di «re
          d’Africa», aveva lanciato dal suo ponte mediterraneo una pretesa ampia
          e non del tutto velleitaria, dal momento che alcuni principi musulmani, da

          Tripoli al Marocco, riconoscevano il suo diritto di imporre tributi. Anche
          i greci bizantini, allora in una situazione di debolezza, concedevano al
          normanno Ruggero navi, milizie e persino denaro.
             Enrico, con la forza di quel precedente, trattava con loro come se fosse «il

          re dei re e il signore dei signori». Altri principi gli prestavano, impressionati
          da un così vasto e energico potere, a vario titolo omaggio: Boemondo di
          Antiochia si dichiarava suo vassallo, dalla Cilicia e da Cipro giungevano
          segnali di sottomissione, richieste di protezione e promesse di alleanze.

          Anche il progetto che Enrico coltivava di una nuova crociata rientrava in
          questa politica di vasto (ma fragile e breve) respiro. Non va dimenticato
          che il padre di Enrico, l’imperatore Federico I, era morto (anche se non in
          battaglia ma per un incidente) proprio in Terrasanta durante la crociata:

          un avvenimento considerato quasi mitico e comunque prestigioso per la
          dinastia.
             Il  problema  di  Enrico  -  problema  che  avrebbe  generato  molti  anni
          dopo il crollo di quel dominio sognato e inseguito con accanimento più

          che  realizzato  pienamente  -  era  la  struttura  disomogenea  del  potere
          esercitato sui territori che dominava a vario titolo: la Germania era una
          monarchia elettiva, la Sicilia un regno ereditario e un feudo del pontefice,
          altri territori erano feudi vassalli, l’impero in qualche modo era sempre

          legato alle strategie del pontefice e da lui tenuto a bada e contrastato
          tenacemente con la pretesa somma di plenitudo potestatis. Questo era



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