Page 13 - Federico II - Genio dei tempi
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uccidete il nemico. L’alternativa d’altra parte è di perdere anima e corpo
          per mano dell’avversario». Tutto nella guerra è vizio, anzi tutti i vizi peggiori

          si uniscono nel conflitto e si rafforzano l’un l’altro follemente, l’orgoglio,
          l’odio feroce e persino la vanità così ridicola in un cavaliere. «Adornate i
          cavalli con gualdrappe di seta, dipingete le asce, gli scudi e le selle, con
          l’oro e l’argento fate brillare i morsi dei cavalli e gli speroni... Sono cose più

          adatte alle donne e voi come le donne vi fate crescere i capelli fin sugli
          occhi e nascondete le braccia in maniche lunghissime...».
             Eppure  è  proprio  Bernardo  a  scrivere  La  lode  della  nuova  milizia,
          l’esaltazione  del  nuovo  Ordine  di  cavalieri,  i  Templari,  che  avrebbero

          combattuto per liberare il sepolcro di Cristo. Ma i Templari, agli occhi di
          Bernardo, erano o dovevano essere l’esatto contrario dell’immagine del
          guerriero laico: avevano rifiutato il mondo, si tagliavano i capelli, non si
          curavano della gloria, non odiavano (non dovevano odiare) l’avversario,

          anche quando erano costretti per giustizia ad ucciderlo. Erano poveri,
          puri e nobilitati dal fine altissimo che li aveva chiamati. Era dunque la loro
          una guerra più che giusta, forse era una guerra santa. Quei Templari che
          vedremo anni dopo coinvolti in un conflitto aspro e duro con Federico di

          Svevia.








                                                    IL FANCIULLO BENEDETTO DI JESI



             Il giorno della battaglia di Bouvines Federico aveva vent’anni, era un

          sovrano poco noto nonostante regnasse su una terra di sogno, la Sicilia, e
          avesse già dato prova di carattere non appena maggiorenne, a quattordici
          anni, contrastando il pontefice. Era nato nel 1194 a Jesi nella Marca di
          Ancona, il giorno dopo Natale: sua madre Costanza d’Altavilla, regina dei

          normanni siciliani, era allora quasi quarantenne e dunque si direbbe oggi
          una primipara attempata.
             Dopo pochi mesi Costanza porta il bambino a Foligno affidandolo alle
          cure della duchessa di Spoleto: Jesi è stata soltanto una tappa forzata

          del suo viaggio verso il sud per raggiungere il marito. La Sicilia in rivolta,
          duramente ma non completamente domata dal suo consorte Enrico VI,
          l’aspetta e la regina intende raggiungere appena possibile l’imperatore
          nella capitale del regno normanno.

             Enrico, figlio dell’imperatore Federico I detto il Barbarossa, era infatti
          già a Palermo e proprio il giorno di Natale di quell’anno, il 1194, era stato



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