Page 14 - Federico II - Genio dei tempi
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incoronato re di Sicilia nella cattedrale. La nascita di un erede maschio (la
notizia gli arriverà in effetti molto dopo) che avrebbe assicurato stabilità al
regno dei normanni, ereditario e non elettivo, unita alla vittoria sui ribelli
segna quella fine d’anno in modo fausto per la coppia svevo-normanna e
fa presagire uno splendido futuro.
Un futuro eccezionale che Federico più tardi fisserà amplificandone i
segni in una lettera: Jesi era stata la sua Betlemme, il giorno della natività
divina era passato da poche ore quando era stato partorito, la figura
della madre Costanza era assimilata alla Madre del Cristo. Federico era
dunque un «figlio benedetto». Così lo avrebbe chiamato anche Pietro da
Eboli, poeta campano di corte, che nei suoi versi enfatici e celebrativi si
richiamerà anche alla IV Egloga di Virgilio. L’erede dei normanni e degli
svevi è cantato come il nuovo Salvatore, colui che avrebbe tenuto in mano
lo scettro del mondo e inaugurato per l’umanità una nuova epoca d’oro.
A questa enfasi cortigiana si contrappongono commenti negativi o
persino catastrofici: c’è chi richiama la profezia del mago Merlino poiché
in una nascita così miracolosa e insperata, data l’età della madre, si può
leggere il presagio di molte disgrazie per il mondo intero. «Sarà un agnello
da squartare ma non da divorare e un leone furioso fra i suoi».
Come avverrà anche in seguito, la persona di Federico è subito oggetto
di opposte immaginazioni, ispirate dall’ammirazione o dall’odio o da
qualcosa di ancora più profondo, un rancore forte e elementare.
L’unione dei suoi genitori aveva senz’altro aspetti singolari. Per tutti i
grandi signori, e specialmente i regnanti, il peso delle ragioni dinastiche
e politiche dei matrimoni rende impossibile allo storico guardare più
addentro nelle persone e scoprire - se ci sono - le motivazioni individuali
che li hanno portati alla decisione delle nozze. E assai probabile che di
ragioni personali anche in questo caso non ce ne siano state: i sovrani
conoscono soltanto le ragioni della loro specie di dominatori e di figli di
dominatori, l’impulso a mantenere e prolungare oltre la vita individuale il
potere e la ricchezza della loro gente. Ma singolari restano le nozze fra i
due, Enrico e Costanza, e ciò lo si legge già nelle opposizioni e nei timori
che questa unione fatalmente doveva suscitare.
Enrico, il padre, era a sua volta figlio di un personaggio leggendario,
Federico Barbarossa, che alla sua morte gli aveva lasciato tutto il
patrimonio di domini e prerogative che il diritto romano imperiale gli
attribuiva, ossia l’intero mondo e il potere sull’Universitas cristiana. Con
una geniale azione diplomatica, il Barbarossa nel 1186 aveva combinato il
matrimonio di Enrico, allora ventenne, con Costanza, l’erede (da qualcuno
discussa perché nata dopo la morte del padre) degli Altavilla, sovrani
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