Page 181 - Federico II - Genio dei tempi
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Per gli autori di parte papale, il pontefice poteva rivendicare uriauctoritas
all’interno della chiesa, mentre per i suoi avversari il papa violava un’altra
auctoritas, quella della tradizione. Per Gregorio VII la regalità aveva
significato solo all’interno della chiesa e in quanto la serviva. Il signore
temporale, un giudice che con la sua spada difende i buoni e punisce i
cattivi, si sarebbe trovato dunque decisamente sottoposto al papa.
Sul piano della storia politica, la questione delle investiture venne
risolta anni dopo, in successive tappe e al termine di una serie di
complicate vicende: con il trattato di Worms (1122), sottoscritto da Enrico
V e da papa Callisto II, si stabilì che l’imperatore avrebbe rispettato le
elezioni dei vescovi, ma che in Germania avrebbe conferito i benefici
temporali prima della consacrazione, mentre nelle altre parti dell’impero
l’investitura avrebbe avuto luogo dopo la consacrazione a vescovo. In
tal modo l’autorità papale acquistava un maggior controllo delle nomine
vescovili. Inoltre, restava l’affermazione del primato pontificio che negli
anni a seguire sarebbe stato ribadito.
La crescita del potere spirituale: da Urbano II a Innocenzo IV
Con il risveglio del diritto, i canonisti, gli studiosi del diritto canonico, cioè
delle leggi della chiesa, iniziarono a riflettere sull’estensione del potere
del pontefice. La chiesa dei secoli XII e XIII era impegnata in un processo
di consolidamento della propria autorità rispetto alle chiese locali e ai
fenomeni religiosi spontanei, e in una lotta per la riconquista di una serie
di autonomie rispetto al potere temporale, in primo luogo dell’imperatore.
Nel pensiero del diritto canonico vennero maturando due linee: una che
insisteva sulla potestas indirecta (potere indiretto) del papa di deporre
l’imperatore, una, più radicale, sulla potestas directa (potere diretto).
Entrambe potevano fare riferimento a Gregorio VII, ma la differenza
tra le due era evidente: nel primo caso si trattava non tanto di deporre
l’imperatore, quanto di sciogliere i vassalli dal vincolo di fedeltà. Gregorio
VII aveva agito in questo modo nel 1076 Anche il testo fondamentale del
diritto canonico, il Decretum del giurista bolognese Graziano, si atteneva
a questa posizione: la deposizione del principe era una conseguenza
della scomunica e dell’anatema che rendevano il principe stesso indegno
della fedeltà.
Urbano II (1088-1099) aveva esercitato una potestas indirecta e così
pure Alessandro III (1159-1181), che scomunicò Federico Barbarossa e
sciolse i suoi vassalli dall’obbligo di fedeltà. Un giurista della seconda
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