Page 178 - Federico II - Genio dei tempi
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I pensatori politici dell’età carolingia continuarono a mirare ad un equilibrio
          tra autorità ecclesiastica e autorità temporale nell’ottica gelasiana di una

          divisione dei compiti e di un primato rispettivamente in ciascun ambito,
          evocando la necessità di consiglieri giusti e saggi e di organismi consiliari
          che affiancassero i sovrani nell’operato legislativo. Si potrebbe anche dire
          che si imponeva l’idea di un ordine politico fondato sulla collaborazione

          tra l’universalismo temporale dell’impero e l’universalismo spirituale del
          papato.  La  funzione  anche  religiosa  dell’impero  di  difesa  e  diffusione
          del  cristianesimo  e  dei  suoi  valori  non  si  traduceva  in  sottomissione
          dell’imperatore al papa (piuttosto in un richiamo all’ordine), ma forniva

          legittimità al potere politico. Prassi e riflessione fino a questo punto non
          avevano formulato un’ideale ierocratico di supremazia pontificia, ma un
          ideale di collaborazione.
             Sul  terreno  restavano  formulazioni,  come  quella  di  Gelasio,  eventi

          simbolici come la deposizione di Childerico o l’incoronazione di Carlo
          Magno che potevano prestarsi a trasformare l’ideale di collaborazione
          in  una  dottrina  della  subalternità.  Ma  sul  momento  si  sviluppò  un
          orientamento  opposto,  un’ideologia  di  tipo  «cesaropapista»,  che

          sottometteva l’autorità pontificia a quella imperiale. Ne fu il segno più
          chiaro il cosiddetto Privilegium Othonis (962), un atto con cui si sancì il
          diritto dell’imperatore di intervenire nell’elezione del pontefice e persino
          di indicare la persona del papa.

             Lo scontro tra i due universalismi
             La stretta collaborazione auspicata e praticata tra sovrani ed ecclesiastici
          iniziò  però,  ad  un  certo  punto,  a  creare  qualche  «cortocircuito».  Gli
          imperatori  avevano  favorito  l’inclusione  di  membri  della  gerarchia

          ecclesiastica all’interno della nobiltà, affidando loro compiti giurisdizionali.
          Erano nate perciò delle figure duplici, di vescovi che detenevano anche la
          carica di conte, o altrove di vescovi che governavano le città.
             Questo tradimento della linea di demarcazione che era stata percorsa

          dai  primi  papi  non  deve  stupire:  in  buona  parte  era  una  necessità
          storica. Gli imperatori avevano bisogno di un personale politico capace
          di  amministrare  e  dotato  di  prestigio,  e  diventava  perciò  una  scelta
          quasi obbligata quella di affidare in molti casi la giurisdizione di città e

          campagne a uomini di chiesa. La nomina di vescovi e il conferimento loro
          di poteri comitali divenne sistematica da parte della dinastia degli Ottoni,
          che regnò in Germania e assurse alla carica imperiale durante il X secolo.
          In tal modo gli imperatori si assicuravano uno strumento di potere utile

          per contrastare il potere dei duchi laici.
             Ma la doppia appartenenza alla gerarchia ecclesiastica e a quella civile,



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