Page 175 - Federico II - Genio dei tempi
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entrava pienamente nel campo delle questioni spirituali. Anzi, legittimava
          il  proprio  intervento  dichiarandosi  «imperatore  e  sacerdote».  Leone

          cercava di piegare il testo sacro alle esigenze della sua politica, ma così
          facendo si proclamava legittimo interprete delle Scritture. Ciò appariva
          insopportabile al papato, perché subordinava il potere spirituale a quello
          temporale  in  linea  di  principio  e  in  linea  di  fatto.  Perciò  il  pontefice

          romano Gregorio II (715-731) difese la distinzione di ambiti affermata da
          Gelasio: compito dei pontefici era occuparsi degli affari spirituali, mentre
          gli  imperatori  dovevano  badare  a  quelli  temporali  senza  reciproche
          intromissioni. Solo in questo modo le verità della fede potevano essere

          preservate dallo svilimento e dallo strumentale uso politico.
             Ciascuno, diceva Gregorio II, deve stare al suo posto. Il «dualismo» di
          Gelasio veniva perciò riproposto dal pontefice in chiave difensiva. Eppure
          la  ricchezza  della  chiesa,  il  possesso  di  terre  (che  nel  caso  specifico

          facevano  gola  all’imperatore  d’Oriente),  determinavano  già  di  per  sé
          un’occasione di scontro e di contesa. In altri termini, la realtà storica della
          chiesa cattolica, che, benché fosse un’istituzione con fini spirituali, era
          detentrice  e  amministratrice  di  terre,  manteneva  viva  la  possibilità  di

          frizioni con il potere temporale.




          Il papato e i franchi: un’alleanza difficile



             Costretta a cercare appoggio altrove contro i longobardi, ma « carica
          di grande prestigio, la chiesa romana si trovò impelagata negli affari del
          regno  franco,  che  a  quell’epoca  era  la  maggior  potenza  europea  e  in

          ogni caso l’unica alla quale il papato potesse chiedere appoggio contro i
          longobardi.
             All’interno del regno franco, buona parte del potere veniva esercitato
          dai maggiordomi di palazzo, una sorta di primi ministri, mentre i sovrani

          erano  piuttosto  estranei  alle  vicende  politiche.  Pipino  detto  il  Breve,
          maggiordomo all’epoca di Childerico III, pare abbia chiesto al pontefice
          se fosse giusto che i re dei franchi avessero il titolo di re senza avere
          l’autorità regia. Papa Zaccaria - sembra - rispose che era preferibile che

          titolo e potere coincidessero. Il colpo di stato che ne seguì, sancito dalla
          dieta di Soissons (751), innalzò Pipino alla carica di re.
             Va notato che la presa di posizione del papa era necessaria per trovare
          sostegno nei franchi contro i longobardi, assai minacciosi nei confronti

          della chiesa romana e dei suoi possessi. Quella che quindi si rivela essere
          come un’azione diplomatica potè essere interpretata a posteriori come



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