Page 180 - Federico II - Genio dei tempi
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della chiesa dal potere politico e difesa delle sue proprietà e delle sue
          prerogative, divenne rapidamente l’affermazione di un primato dell’autorità

          papale  sull’imperatore,  sbilanciando  a  favore  del  papa  quell’unità
          di regnum e sacerdotium che riuniva in sé i due poteri in un ideale di
          collaborazione.
             Gregorio cercò di imporre il primato della chiesa romana alle chiese locali

          e dichiarò illegittime le investiture di cariche pubbliche a ecclesiastici. In
          questo modo minava le basi stesse del potere del sovrano. Gregorio rispose
          al disinteresse di Enrico IV, che continuava a nominare vescovi persone
          di sua fiducia, scomunicando il sovrano. Nel 1076, richiamandosi al suo

          potere di sciogliere e legare, affrancò i sudditi di Enrico IV dall’obbligo di
          lealtà e proibì al sovrano il governo dei regni di Germania e Italia. Gli anni
          che seguirono furono drammatici: Enrico si recò a Canossa a chiedere
          il perdono del papa, che ottenne, ma dopo aver battuto i suoi avversari

          in patria ridiscese in Italia e fece eleggere papa un uomo di sua fiducia,
          Guilberto di Ravenna (già candidato alla carica quando Gregorio era stato
          eletto a furor di popolo). Gregorio reagì con forza sul piano ideologico, ma
          nulla potè di fronte all’occupazione di Roma da parte dei soldati imperiali

          e  scese  in  Sud  Italia  insieme  ai  normanni,  che  erano  sopraggiunti  ad
          aiutarlo (ma che avevano saccheggiato la città).
             L’insuccesso  politico  di  Gregorio  fu  inversamente  proporzionale  alla
          pretesa delle sue posizioni dottrinali. Le tesi gregoriane affermavano che

          il potere secolare derivava da quello ecclesiastico, in quanto il papa era il
          rappresentante di Dio in terra. Gli oppositori secolari sostenevano invece
          l’origine divina e distinta dei due poteri. Gregorio intendeva riformare la
          chiesa e sopprimere le tendenze simoniache, ma anche rivendicare al

          pontefice il controllo sulla gerarchia ecclesiastica, che non poteva essere
          alle dipendenze né tantomeno nominata dall’imperatore. Egli sfruttava le
          tante indicazioni presenti nella trattatistica e nella storia per rovesciare il
          rapporto tra papa e imperatore a favore del primo, in nome di un primato

          morale e di una vicinanza a Dio che andavano tradotti in termini politici.
             Nel  suo  Dictatus  papae,  l’opera  che  esponeva  in  forma  icastica  le
          nuove idee politiche del papato, affermava che solo il papa poteva essere
          chiamato  universale  e  portare  le  insegne  imperiali.  Inoltre  Gregorio

          sosteneva di avere piena giurisdizione sui vescovi e di poter deporre gli
          imperatori e sciogliere i fedeli dai vincoli di fedeltà contratti con i malvagi.
          In questo modo il pontefice si poneva come sola autorità universale che,
          superando le distinzioni di competenza, limitava il potere imperiale. Anzi, il

          papa si appropriava delle prerogative spirituali e imperiali che fino ad allora
          erano appartenute a re e imperatori (Cantarella-Polonio-Rusconi 2001).



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