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Bonifacio VIII e la disfatta politica della chiesa



             Lo scontro tra papato e impero, e più in generale tra papato e potere
          temporale, non si chiuse certo all’epoca di Federico. La storia medievale
          conobbe  ancora  momenti  di  aspro  e  drammatico  scontro,  assai  fertili
          per lo sviluppo del pensiero politico. In particolare, vi furono ancora due

          accesi contrasti che vanno raccontati. Il primo si svolse a cavallo tra la
          fine del Duecento e l’inizio del Trecento ed ebbe come protagonisti il re
          di Francia, Filippo IV il Bello (che governò dal 1285 al 1314), e uno dei papi

          più decisi e forti del medioevo, Bonifacio Vili (1294-1303).
             La tensione tra Filippo e il pontefice si sviluppò per ragioni economiche.
          Impegnato nella guerra contro l’Inghilterra, il re francese aveva bisogno
          di  denaro.  Perché  non  sottoporre  a  tassazione  i  cospicui  beni  della
          chiesa francese? Ma la reazione del papato non si fece mancare e con

          la bolla Clericos laicos (1296) negò al re tale diritto. Filippo a sua volta
          vietò  l’esportazione  di  oro  e  di  argento.  Ma  già  l’anno  successivo  le
          parti trovarono un accordo, che consentiva ai francesi di chiedere aiuti

          economici al clero.
             Lo scontro si spostò sul piano politico nel 1301, quando re Filippo fece
          incarcerare  il  vescovo  di  Pamiers  e  Bonifacio  protestò  rivendicando
          l’autonomia giurisdizionale del clero. La situazione si aggravò rapidamente
          perché a più riprese il pontefice accusò Filippo di perseguitare il clero

          francese e ribadì la propria posizione di giudice supremo dei cristiani.
          A  tale  scontro  politico  si  accompagnò  una  ricchissima  produzione  di
          pamphlets da una parte e dall’altra. Il punto più alto della polemica fu

          raggiunto dalla stesura della bolla papale Unam sanctam (1302). Questo
          importante documento della Curia pontificia esprime pienamente l’ideale
          di potere supremo e indiscutibile del papato che a partire da Gregorio
          VII era venuto maturando. Si tratta quindi di un documento politico in cui
          il papato medievale, paradossalmente a qualche momento di distanza

          dalla sua maggior perdita di prestigio, concentrò la propria ideologia sul
          rapporto tra i poteri. Affermava la bolla che:
             Il Signore, agli apostoli che, parlando, dicevano: «ecco due spade»,

          riferendosi alla chiesa, non rispose: «sono troppe», ma «bastano». E chi
          dice che la spada temporale non è in potere di Pietro non presta bene
          attenzione  alle  parole  del  Signore:  «Rinfodera  la  tua  spada».  Perciò
          entrambe  appartengono  al  potere  della  chiesa,  la  spada  spirituale  e
          la spada materiale. Ma la seconda è a vantaggio della chiesa, mentre

          la  prima  viene  esercitata  dalla  chiesa.  Quest’ultima  è  nella  mano  del
          sacerdote, l’altra è in mano ai re e ai soldati, ma obbedisce all’assenso



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