Page 187 - Federico II - Genio dei tempi
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Ma qua le cose si fanno più complicate. La chiesa era infatti travagliata
          al suo interno da una serie di discussioni sul tema del possesso dei beni

          che era stata innescata dall’esempio di povertà offerte dai francescani.
          Ben presto la contestazione del potere papale e la critica della ricchezza
          della chiesa si combinarono insieme in uno sforzo di ridisegnare il profilo
          della chiesa e del papato.

             I francescani avevano insistito per vedersi riconosciuta la povertà e il
          semplice uso dei beni, lasciandone il possesso alla chiesa, un risultato che
          era stato ottenuto con la bolla di Niccolò III (1277-1280) Exiit qui seminat
          (1279). Ma il dibattito proseguì, incentrandosi in particolare sulla povertà

          di Cristo e degli apostoli e Giovanni XXII (1316-1334) con una serie di bolle,
          tra il 1322 e il 1324, revocò i provvedimenti di Niccolò III (che aveva fatto
          della chiesa la garante dei beni usati dai francescani), negò la povertà di
          Cristo e degli apostoli e criticò aspramente i suoi oppositori.

             Questa  linea  d’azione  si  sviluppò  contemporaneamente  allo  scontro
          con Ludovico il Bavaro, che rivestì la carica imperiale dal 1328 al 1347.
          Giovanni infatti teneva fermi i principi di priorità del papato sull’impero
          che i pontefici del secolo precedente avevano messo a punto e riteneva

          Ludovico un imperatore illegittimo proprio perché la sua elezione avrebbe
          richiesto l’approvazione da parte della Santa Sede.
             E in questo contesto che operarono due tra i più grandi filosofi del
          medioevo, Marsilio da Padova (ca. 1280 -1342/43) e Guglielmo di Ockham

          (ca. 1285- ca. 1349). Entrambi presero di mira la pretesa pienezza di potere
          del papato e la criticarono da punti di vista diversi.
             Nel  Difensore  della  pace  Marsilio,  contestando  le  tesi  ierocratiche,
          partiva dall’idea che la comunità politica nascesse, come aveva insegnato

          Aristotele,  in  modo  naturale  per  consentire  agli  uomini  di  ottenere
          una  vita  sufficiens,  una  vita  degna  di  essere  vissuta;  alla  vita  politica
          dovevano partecipare il numero maggiore possibile di cittadini, coinvolti
          nell’importantissima attività di elaborazione e di approvazione delle leggi.

          Il clero risultava perciò privo di ogni potere coercitivo e la sua funzione si
          rivelava puramente spirituale.
             Le pretese di potere della chiesa romana erano anzi per l’autore del
          Difensore all’origine delle discordie e della mancanza di pace. Il papa poi,

          che Marsilio nella sua opera chiamò quasi sempre «vescovo di Roma»,
          avrebbe dovuto svolgere una funzione di coordinamento, assai distante
          dalle prerogative che dispoticamente avocava a sé. Marsilio sviluppava
          anche  un’analisi  attenta  dei  testi  sacri,  dei  documenti  storici  e  delle

          autorità della chiesa a sostegno delle proprie tesi, per conferire loro una
          duplice fondazione, filosofica e teologica.



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