Page 177 - Federico II - Genio dei tempi
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in gioco il rapporto con l’impero d’Oriente, che si proclamava erede di
          quello romano, ma soprattutto la relazione di potere con il pontefice, che

          si attribuiva il potere di mettere in atto quella che venne poi chiamata la
          translatio imperii, il trasferimento della carica imperiale ai franchi.
             Carlo aveva cercato di delineare i compiti dell’imperatore e del papa
          all’interno di un lavoro comune di espansione e di difesa della cristianità.

          Ma il gesto del papa poteva indicare la dipendenza del potere imperiale da
          un’altra autorità. I re franchi e longobardi si erano sempre dichiarati re per
          volontà di Dio, ma tra questa formula e l’incoronazione papale passava
          un’ampia  differenza:  veniva  cioè  individuato  un  tramite  della  volontà

          divina. Perciò la sacralizzazione del ruolo dell’imperatore ne accresceva
          da un lato il prestigio e le possibilità d’azione, ma lo riconduceva dall’altro
          anche all’interno di un ambito nel quale avrebbe potuto facilmente essere
          insidiato dal primato morale e spirituale del pontefice. Non a caso, un

          millennio e passa più tardi, Napoleone prenderà da sé la corona imperiale
          dalle mani del sacerdote proclamando che Dio gliel’aveva data e nessuno
          avrebbe potuto togliergliela.
             Eginardo, il cronista di Carlo Magno, racconta dello stupore dell’imperatore

          per un’incoronazione inaspettata e della quale forse percepiva i pericolosi
          risvolti. Carlo, consapevole del valore di gesti simbolici come quello di
          Leone, cercò di correre ai ripari quando si trattò di incoronare il figlio
          (813): organizzò la cerimonia ad Aquisgrana e la corona gli fu messa in

          capo dal padre o se la pose da solo, senza l’intervento del papa.
             L’idea di una collaborazione, ma anche di una possibilità di intervento
          dell’imperatore nelle vicende della chiesa è espressa dalla Via regia di
          Smaragdo, nella quale l’autore consiglia al sovrano, Ludovico il Pio, figlio

          di Carlo e imperatore dall’814 all’840, di intervenire per purificare la chiesa,
          quando ne ravveda la necessità.
             Tuttavia  l’incoronazione  da  parte  del  papa  diventava  sempre  più  un
          passo fondamentale, tanto che veniva portata come ragione a favore nella

          polemica con l’imperatore d’Oriente sulla veridicità del titolo imperiale dei
          sovrani franchi. In questo modo si costituiva una complessa situazione
          nella  quale  il  potere  laico  si  percepiva  come  legittimato  attraverso
          unzione e incoronazione da parte ecclesiastica, ma al contempo deteneva

          la possibilità di intervenire nella chiesa per la sua purezza. Ai sovrani
          Sedulio Scoto ricordava che essi erano ministri di Dio e la loro autorità
          era dovuta alla volontà dell’Altissimo, ponendo così un limite all’autorità
          regia, individuato nell’obbedienza alla legge e alla volontà divine. Una

          linea analoga di riflessione era espressa da un importante arcivescovo
          francese, Incmaro di Reims (805/6-881).



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