Page 173 - Federico II - Genio dei tempi
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autorità secolari, seguendo il precetto di san Paolo, secondo il quale ogni
potere deriva da Dio e opporsi alle autorità significa ribellarsi alla volontà
di Dio stesso (Èp. ai Romani, XIII, 2). Le istituzioni mondane risultano
legittimate dall’uso che fa di esse la provvidenza divina. Quel che esse
garantiscono è un ordine instabile, ma preferibile al caos, offrendo una
prospettiva di pace e di convivenza tra gli uomini alla quale non può
sottrarsi chi appartiene alla città dei giusti.
Perciò i cristiani dovranno obbedire alle leggi civili, a meno che non
contrastino con l’insegnamento divino, e persino accettare di svolgere il
servizio militare in quelle guerre giuste che hanno la pace come scopo.
Nel desolato panorama della storia umana e dei suoi regni, la chiesa
resta però la testimonianza di un ordine superiore, di una dimensione
che è in grado di svelare il senso delle vicende terrene e di dare ad esse
compimento.
La convinzione che la dimensione terrena fosse solo un momento di
passaggio verso la vera patria e che il destino ultraterreno dipendesse
dal giudizio di un Dio i cui rappresentanti erano ben riconoscibili e attivi
in terra, gettava le basi perché vescovi e papi potessero intervenire e
influire sulle vicende politiche. Ma nei primi secoli dell’epoca cristiana, il
papato mantenne un atteggiamento di non intervento, avocando a sé un
ruolo di controllo sulle anime che non era inteso in termini politici.
Alla fine del V secolo, quando ormai alla chiesa romana era stato
riconosciuto un primato sulle altre chiese da parte degli imperatori
d’Occidente, papa Gelasio (492-496) impostò una distinzione di
competenze tra la carica imperiale e quella papale che voleva escludere
possibilità di reciproca interferenza. In tal modo i sacerdoti si sarebbero
rivolti agli imperatori per le cose terrene, e i sovrani di questo mondo ai
papi quando era in gioco la vita eterna. L’esistenza di questi due distinti
ambiti sarebbe stata sancita da Cristo stesso per aiutare i fedeli.
La formula «dualista» di Gelasio, in realtà, non poneva i due poteri sullo
stesso livello. Quella del papa era un’’auctoritas, un’autorità, qualcosa
di più della potestas, del potere del principe, un incarico di maggior
responsabilità perché i pontefici avrebbero dovuto rispondere davanti al
tribunale di Dio anche degli stessi re. L’uso di queste due diverse parole
risulta fondamentale: all’epoca della repubblica romana, infatti, la potestas
era spettata ai magistrati, Vauctoritas era appartenuta invece al senato, al
cuore del sistema politico. Usare i due termini in questa contesa, benché
ormai si fosse in periodo imperiale, aveva la conseguenza di affermare,
accanto alla separazione delle due sfere di competenza, un latente
ma innegabile primato, per quanto etico e ontologico, del papato sulla
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