Page 145 - Federico II - Genio dei tempi
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l’imperatore che aveva consumato gran parte delle energie e lacerato il
          quadro della cristianità europea. Del resto lo scontro fra i due massimi

          poteri aveva già avuto una parte di responsabilità anche nel fallimento
          della crociata.
             Era ancora possibile un accordo fra le due massime potestà? Il pontefice
          fa capire che se Federico si fosse presentato senza scorta a Lione alla

          corte pontificia e avesse riconosciuto i dictatapapae accettando la resa
          incondizionata...
             Ma  Innocenzo  di  fatto  riprende  il  suo  piano  di  annientamento  degli
          Staufen.

             Federico, forte dei successi in Italia e in Germania, da lui interpretati
          come sintomi di un corso nuovo e favorevole, in quei giorni scriveva che,
          «per rallegrare non solo coloro che ci sono legati da vincoli di sangue
          o d’amore ma anche gli amici», la sua «divina maestà con l’appoggio

          della provvidenza celeste guida e governa tutto l’impero sottomesso in
          pacifico ordine».
             Per Federico tuttavia come per tutti gli uomini, l’«ultimo giorno della
          vita è anche l’ultimo della fortuna» (Boezio).

             Un giorno quasi improvviso, ecco la fine di tutto: una malattia non rara in
          quelle terre e in quei tempi colpisce Federico mentre caccia con gli amati
          falconi in Puglia («d’inverno - scrive il Villani - l’imperatore uccellava a
          Foggia») e i giorni futuri gli sembrano ancora tanti. Una fine improvvisa

          oppure una conclusione scritta e inevitabile della corsa della ruota della
          fortuna verso il basso, un movimento prima lento poi di colpo rapido fino
          all’arresto definitivo?
             Quell’ultimo  giorno  -  il  13  dicembre  -  che  il  papa  crudelmente

          giudicherà splendido per la cristianità («Si rallegrino il cielo e la terra»),
          altri lo indicheranno come nefasto: «il giorno in cui il sole della giustizia è
          tramontato, l’artefice della pace è spirato», così Manfredi scrive al fratello
          Corrado.

             Intorno a Federico, in Puglia a Castel Fiorentino (era quello il luogo
          «sub flore» di una profezia, si dice, tanto temuta dall’imperatore), erano
          presenti in molti assieme alle ombre dei collaboratori di tutta una vita - Pier
          delle Vigne, Taddeo da Sessa - forse anche insieme al ricordo struggente

          del figlio Enrico, ribelle infelice... C’erano Manfredi, non ancora ventenne,
          anche lui così amante dei falconi, poi il fedele vescovo di Palermo Berardo
          che  confessa  l’imperatore,  forse  la  donna  amata  in  quella  stagione,  il
          gran giustiziere Riccardo da Montenero, il medico Giovanni da Procida

          protagonista in futuro di grandi eventi siciliani, consiglieri e funzionari.
          Federico,  sempre  secondo  la  stessa  voce,  dichiara  un’amnistia  per  i



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