Page 142 - Federico II - Genio dei tempi
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suo seguace da quando lasciò l’umile mestiere di pescatore. Il paragone
va però a tutto favore del Pietro «nato a Capua», perché a differenza
dell’apostolo che rinnegò il Signore il terzo giorno, il cancelliere di Federico
non tradì mai l’imperatore ma si adoperò sempre nell’applicazione dei
«principi della virtù» e nella lotta agli errori.
Il notaio Nicola si occuperà dell’epistolario di Pier delle Vigne preceduto
dalla Eulogia scritta in onore di Federico: la raccolta fu certamente
conosciuta da Dante che riprende il tema della fedeltà del protonotaio al
suo sovrano nel Canto XIII dell’Inferno. L’Eulogia è di fatto un manifesto
che si ispira all’antico modello imperiale: Piero richiama i nomi di Giulio
Cesare e Ottaviano Augusto e attribuisce a Federico la qualità filosofica
di Forma Boni, Forma del Bene, che dà ordine al caos e riconcilia gli
opposti elementi della natura. Ma ancora una volta la prospettiva più
rilevante è > quella della sacralità del potere imperiale, per cui si guarda
all’imperatore come a un altro Messia «il quale cura che vengano , spente
le faville del male e che la virtù della sicurezza sia dotata di fondamenta
salde mentre con il ferro delle spade si forgeranno i vomeri...». Quale sarà
stato il giudizio di Dante su un testo che probabilmente conosceva e
che conteneva alcune pretese chiaramente blasfeme o almeno suonava
singolarmente arrogante?
Federico e il suo «Pietro»: in un dipinto del palazzo di Napoli raffigurante
il tribunale della Magna Curia il primo è «sul trono», il secondo «in
cathedra». A presentare Pietro è lo stesso imperatore: «Questo è colui che
vi darà le leggi a mio nome, è il giudice Pietro di cognome della Vigna».
Brunetto Latini scriverà che «Oratore è colui che ha appreso bene l’arte
che usa nel dire e nello scrivere sopra le questioni. Così fanno i buoni
parlatori e dittatori come il maestro Pier delle Vigne...».
Cosa accade dunque nel 1249, un anno prima della morte di Federico?
Dante credeva probabilmente alla versione di Nicola da Rocca che
aveva giurato sulla fedeltà e lealtà di Pier delle Vigne; il racconto del
cupo e potente Canto XIII deìl’Inferno lo dimostra. In quel torno d’anni è
verosimile che l’imperatore fosse divenuto sospettoso per le difficoltà da
affrontare, le perdite di uomini fidati come Taddeo da Sessa, la cronica
mancanza di denaro, la congiura della primavera del 1246 organizzata da
gente sua, come il vicario imperiale di Toscana e l’amico Orlando de Rossi
rapidamente scoperti e giustiziati, ma prima accecati mutilati e trascinati
per le strade. Il pontefice Innocenzo IV aveva chiamati i congiurati «atleti
del Signore Gesù Cristo». Federico prestava quindi orecchio più sensibile
alle voci dei cortigiani, evidentemente invidiosi della fortuna così lunga e
prestigiosa del protonotaio.
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