Page 139 - Federico II - Genio dei tempi
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riconquista Parma, ma si tratta di una vittoria effimera. Sembra incredibile,
          ma l’imperatore in alcune lettere a Luigi di Francia appare desideroso

          di pace e spera ancora in un accordo con il papa con la mediazione di
          alcuni cardinali meno fanatici di Rainiero, tanto che progetta persino di
          presentarsi a Lione. Promette di partire per la Terrasanta e di rimanerci
          per sempre purché il pontefice incoroni imperatore Corrado e revochi la

          scomunica.
             Innocenzo rifiuta, aizza gli alleati lombardi e affida al giovane cardinale
          Ottaviano degli Ubaldini il comando delle sue truppe. Parma, non certo
          per opera dell’Ubaldini ma per mezzo di regali e privilegi alla parte guelfa,

          passa  al  pontefice  come  alleata  della  Lega  Lombarda:  Enzo  chiede
          soccorso urgente al padre imperatore, ma intanto cinge d’assedio la città.
          E a Parma - come sappiamo - Federico perde la battaglia, il suo prezioso
          libro sui falconi e uno dei suoi collaboratori più valenti e fedeli, Taddeo

          da Sessa, e tutto questo forse per amore della caccia. «Un orso ferito
          e privato dei suoi cuccioli», così lo descrive il malvolente Salimbene. Si
          ritorna al solito problema che diviene sempre più stringente e ossessivo:
          una  nuova  tassa  straordinaria  viene  imposta  ai  sudditi  siciliani  senza

          distinzione di stato, laici e ecclesiastici. Federico in questi ultimi due anni
          di vita non fa altro che combattere veramente come un orso accerchiato,
          ma oramai tutto si svolge nell’Italia del Nord. La Sicilia, la pupilla dei suoi
          domini, era chiamata solo a un aiuto concreto e materiale.

             Nella primavera del 1249 due catastrofi si abbattono e molto da vicino
          sull’imperatore:  i  bolognesi  sbaragliano  l’esercito  dell’alleata  Cremona
          e fanno prigioniero il figlio, re Enzo, e il logoteta Pier delle Vigne viene
          accusato di aver tradito Federico.









                                                   LA RAGIONE DI PIER DELLE VIGNE



             A voi, pio Cesare e non ad altri, torna gloria e onore per avermi tante
          volte reso glorioso con le vostre lettere... Perciò appunto mi preme di

          sentirmi glorificato dalla gloria vostra ed esultante dei vostri successi...
          Nulla mi sta a cuore quanto l’incolumità, la fortuna e l’insigne trionfo di
          colui dal quale dipendo, senza la cui stima non sono nulla e alla cui ombra
          vivo esaltato e onorato...

             Così scriveva il protonotaio Pier delle Vigne.
             Più di vent’anni allora in quei secoli, se andava bene, erano metà di una



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