Page 133 - Federico II - Genio dei tempi
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Lo scontro oramai è asprissimo e non conoscerà più tregua per Federico;
nell’ottica di Roma egli è un «osceno mostro» mai visto prima, mezzo
pantera, orso, lupo e persino scorpione; è un apostata, un infedele che
si è preso gioco dei dogmi cristiani e ha condotto una vita apertamente
immorale vivendo in un continuo scandaloso adulterio.
C’è qualcosa d’altro: Gregorio accusa Federico di aver definito
«impostori» i tre fondatori delle religioni del Libro, Mosè, Gesù e
Maometto. Accusa questa che è molto probabilmente una fantasia, o
meglio la citazione di un topos che circolava fra i musulmani già due
secoli prima. L’imperatore comunque smentisce l’immagine (che nata in
ambiente clericale ebbe fortuna in seguito anche fra gli estimatori di un
Federico laico, irridente ed epicureo) in un successivo proclama dove si
dichiara devoto cristiano, elogia Mosè che ha donato le Leggi divine al
popolo di Israele mentre afferma di essere convinto che Maometto era
nemico di Dio e condannato perciò all’inferno.
Dopo la certamente sofferta decisione di non sfruttare la vittoria di
Cortenuova e di lasciar perdere l’assedio di Milano, troppo solidamente
protetta, Federico ritorna al Sud dove Jesi, la sua città natale, è di nuovo
terra dell’impero per merito del figlio Enzo suo vicario in Italia. Anche se
lo sarà ancora per pochi anni.
Non era solo una ragione affettiva quella che rallegrava Federico: Jesi
era ai confini settentrionali del regno siciliano e vicino alle terre pontificie.
Il giorno di Natale e quello del suo compleanno, il 26 dicembre, Federico
li trascorre a Pisa, sicuro centro ghibellino.
Federico accarezzava in quei giorni il sogno di entrare trionfalmente
in Roma e farne la capitale del suo impero? Può essere. Ma questa per il
pontefice era una partita che non poteva perdere: nel nuovo anno Gregorio
lancia al popolo romano e all’Europa cristiana un nuovo proclama pieno di
pathos nel contesto di una memorabile processione che da San Giovanni
in Laterano giunge fino alla tomba di san Pietro in Vaticano. Il centro
teorico del discorso è la salvaguardia della libertas della chiesa. Bisognava
difendere la capitale cristiana dalle armi dell’invasore, l’imperatore, con
una «guerra per la fede» che avrebbe dato ai partecipanti molti meriti e
prometteva a chi moriva combattendo la felicità in paradiso. Se Federico
fosse entrato con le armi in Roma davanti al mondo cristiano, dopo queste
dichiarazioni e il consenso non unanime ma largo dei cittadini romani
alle posizioni del pontefice, sarebbe stato inchiodato definitivamente
all’immagine di nemico della chiesa: Federico sceglie di temporeggiare e
cerca l’accordo con i cardinali, fra i quali conta alcuni simpatizzanti come
Giovanni Colonna, accusato dal papa di proporsi come intermediario di
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