Page 131 - Federico II - Genio dei tempi
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di  posizione  ancora  più  precaria,  emarginata  o,  peggio,  «delinquenti
          di  ogni  specie»  che  miravano  a  campare  con  i  resti  dei  saccheggi.  È

          naturale che con il crescere dei comuni la figura del fante si trasformi:
          una consapevolezza maggiore di appartenere a quella parte che lotta per
          le proprie libertates, a una realtà dotata di una forte identità da difendere,
          talvolta, anzi sovente, mossa a scendere in guerra per la sopravvivenza

          stessa della città, rendeva più efficace e più convinta la partecipazione
          alla battaglia. I fanti combattevano soprattutto a difesa delle mura e del
          territorio usando la lanzalonga o picca, schierati dietro il palvese, grande
          scudo  rettangolare,  quasi  un  muro  mobile  e  compatto  che  appariva

          una  barriera  invalicabile  al  nemico  che  attaccava.  Qualche  storico  ha
          visto dietro questo modo nuovo di far guerra una perdita dello spirito
          ferocemente ludico dello scontro cavalleresco: i borghesi e il popolino
          delle  città  combattevano  con  rabbia  per  uccidere  e  per  vincere,  per

          risolvere una questione reale e contingente. Ma c’è stato realmente un
          tempo, come qualcuno pensa, in cui «nei freddi inverni i castelli dei signori
          erano colmi di noia e si aspettava il ritorno del dolce tempo di primavera
          in cui gli amori sarebbero tornati a sbocciare e in cui di nuovo si sarebbe

          saliti a cavallo» (Cardini 1982)?
             I fanti erano comunque una élite (Settia 1992): la maggior parte dei
          combattenti a piedi era gente senza reddito che non possedeva neppure
          un’arma eppure era tenuta come gli altri più fortunati a prestare servizio

          militare.
             I  carriatores  e  i  bubulci  erano  reclutati  fra  povera  e  avida  gente  e
          dovevano fornire buoi e carri nel corso delle campagne di guerra ma anche
          portare con sé asce, zappe e falci che potevano al momento servire da

          rustiche armi di offesa. I guastatori erano per armamento e stato vicini a
          quest’ultimi: armati alla bell’e meglio facevano terra bruciata intorno agli
          obiettivi da assaltare, città o castelli, distruggevano ponti, spianavano i
          fossati. Più in basso e più terribili stavano i latrones e gli aggressores,

          bande di irregolari destinati a operazioni di saccheggio, gente che non
          si curava della pietà e dell’onore, veri predatori famelici, scrive il solito
          Rolandino. In fondo, erano questi ultimi a rappresentare con più verità
          dei  cavalieri  e  anche  del  popolo  che  combatteva  a  piedi  il  vero  volto

          della guerra di quei secoli, un volto avido e feroce, che si mascherava e
          decorava di valori nobili, civili e religiosi.












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