Page 129 - Federico II - Genio dei tempi
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un capolavoro sottile di diplomazia e intimidazione, resi alleati fidati del
vincitore. Alla battaglia di Cortenuova nel 1237 «Ezzelino in qualità di
comandante imperiale partecipa a capo di truppe padovane, trevisane,
vicentine, veronesi, mantovane e trentine» (Settia 1992), un esercito reso
compatto militarmente mediante una intelligente azione di bilanciamento
anche delle inimicizie fra le città. Una attenta valutazione della posizione
e delle relazioni che correvano fra gli uomini del suo esercito, Ezzelino la
mostrò anche in altre occasioni fuori dal combattimento, come durante la
dieta imperiale del 1245 a Verona, quando per bilanciare la presenza dei
tedeschi chiamò per controllare la città alcuni gruppi formati ciascuno
da una ventina di uomini scelti a rotazione fra padovani, vicentini e
pedemontani.
Una così accorta politica è stata considerata da alcuni storici un
tentativo di andar oltre ai ristretti confini delle municipalità in modo palese,
forse persino un esperimento prematuro, comunque una forma mentis e
una strategia evidente anche nell’abbandono del Carroccio simbolo del
patriottismo cittadino. Il suo uso sarà ripristinato solo dopo la morte di
Ezzelino.
C’era nel far guerra di Ezzelino un elemento che appariva ai
contemporanei temibilissimo, una capacità particolare di usare i mezzi
tecnologici, soprattutto quelle machinae da lancio che avevano cominciato
a progredire divenendo più efficienti già nella seconda metà del secolo
XII: fra queste, i trabucchi, strumenti da getto già utilizzati da Ezzelino
per esempio a Este nel 1213. I proiettili lanciati erano micidiali, massi e
pietre del peso di milleduecento libbre, dice il cronista forse con qualche
esagerazione. A volte la sola minaccia di impiegare i trabucchi bastava
a risolvere a proprio favore la situazione. All’origine e quindi al seguito
dei trabucchi e di altri congegni per i complicatissimi trasporti delle
macchine stava una nuova figura professionale che si avviava a diventare
protagonista nelle vicende di guerra, il mastro ingegnere. Tutto ciò
arricchiva sinistramente l’immagine del tiranno che si doveva circondare
di sapienti dalle abilità speciali, contesi e ben pagati: anni dopo la fine di
Ezzelino, il comune di Vicenza requisì alla famiglia da Romano «una casa
lunga e murata» sulla quale aleggiava cupa la fama di servire da deposito
delle «orribili macchine per prendere città e castelli».
Riflettere sui documenti che ci parlano delle strategie e degli armamenti
usati da questo dinamico e composito esercito guidato da Ezzelino, ci
rende consapevoli anche dei mutamenti avvenuti in quegli ultimi secoli
«medievali» nelle armi e nella guerra. Nell’immaginario comune la
spada è ancora l’arma vincente del cavaliere, l’arma che può risolvere
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