Page 126 - Federico II - Genio dei tempi
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della teoria dello «specchio», suggerita da singolari analogie fra i due
personaggi secondo la quale in Ezzelino si ritrovano il comportamento e
le attitudini dell’imperatore rimpicciolite ma rese più concrete e evidenti
dal quadro e dai contrasti entro i quali il signore italiano agisce. Ezzelino
III già al suo esordio era quel mostro crudele e assetato di sangue del
quale parlano i cronisti ispirati dalla parte pontificia, dalle solite inimicizie
locali, dagli ordini mendicanti, quel tiranno estremo che calpestava ogni
libertà? O meglio: Ezzelino era solo questo?
Perfidus Ecerinus: l’espressione ricorre sovente nei documenti e
negli statuti di Padova, Treviso e Vicenza, quando si parla del dominio
di Ezzelino da Romano (mentre è assente a Verona dove si verificò una
certa convergenza di azione e interessi fra il tiranno e il «potentissimo
popolo»).
L’azione di Ezzelino va osservata nel contesto delle differenti città
dove esercitò il suo dominio e il suo controllo. A Padova, per esempio,
è innegabile che Ezzelino compresse fortemente la libertas comunale
e i corpi professionali della città, riducendoli a docili strumenti del suo
autocratico esercizio di potere, ma è anche vero che questa lunga azione
non fu cieca, non annullò la vitalità economica della città e neppure creò
un ceto nuovo ribaltando quelli tradizionali, che continuarono a vivere
e combattersi. Certo, ad ascoltare e a prender per buono il giudizio di
Salimbene da Parma, Ezzelino fu l’esatto rovescio del Bene e il contrario
di un personaggio a lui contemporaneo, Francesco d’Assisi, il Bene
assoluto. Ezzelino era il Male assoluto e «per narrare tutte le sue crudeltà
ci vorrebbe un grande libro».
L’altro cronista, Rolandino da Padova, fissa nell’anno 1249 l’acme della
tirannide di Ezzelino, quando vennero alla luce «la rabbia, la malignità,
il furore e il veleno» nascosti fino allora nei suoi disegni, e la ferocia, la
più sanguinaria e deliberata, esplose brutale. Fu l’anno in cui Ezzelino,
scomunicato e travolto dalla rottura oramai irreparabile fra imperatore
e papa, messo alle corde, giunse a una totale esasperazione della sua
strategia. Nella tensione politica oramai altissima Ezzelino scopriva
congiure anche fra coloro che gli erano stati più vicini e nemici che
non esitava a decapitare. Congiure reali e qualche volta immaginate.
E scoperchiate con violenza e demolite anche attraverso la delazione
sistematica e organizzata con tale ferocia da arrivare a «distruggere - è
ancora Rolandino che scrive - insieme ai nemici anche gli amici».
Da quell’anno, il 1249, Ezzelino corrisponde in pieno al ritratto fattogli
dagli avversari già in precedenza: carceri di massa come le famigerate
Zilie di Padova, da dove ogni giorno carri pieni di cadaveri uscivano diretti
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