Page 121 - Federico II - Genio dei tempi
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alle milizie delle città come Cremona fedeli a Federico e oltre a Ezzelino,
con il suo composito ma temibilissimo esercito. In tutto si calcolano circa
dodicimila uomini.
Al primo di ottobre si arrende Mantova e, quindici giorni dopo, la fortezza
di Montichiari vicino a Brescia, mentre il territorio intorno è messo a ferro
e fuoco. Prima della fine del mese gli eserciti nemici pongono le tende
vicino a Pontevico sull’Oglio, separati solo da una palude. Il fiume sta
alle spalle delle truppe imperiali e Cremona a tre, quattro ore di marcia al
massimo.
Erano giornate difficili per entrambi i contendenti. Le piogge dell’autunno
avanzato avevano imbevuto il molle terreno lombardo: la cavalleria di
Federico si muoveva male, ma anche i carri (e il Carroccio!) dei lombardi
erano lenti. L’iniziativa di rompere lo stallo è di Federico: mentre i lombardi
stanno fermi al di là del fiume, l’imperatore passa con le sue truppe alcuni
ponti e, subito dietro di sé, li distrugge; poi invia le fanterie a Cremona
e risale il fiume in senso inverso. I lombardi allarmati osservano da
lontano: sembra a loro che l’intento di Federico sia di riparare nell’amica
Cremona per passare i mesi invernali imminenti. Per raggiungere Milano,
come suggerisce oramai la stagione fredda dalle giornate brevi, le truppe
lombarde devono attraversare il fiume: Federico le aspetta. Appena riceve
la notizia che i nemici, attraversato il fiume presso Pontoglio, si sono
accampati, la decisione è presa. È il mattino del 27 novembre quando i
cavalieri tedeschi inviati innanzi dall’imperatore piombano a Cortenuova
sui lombardi che si raccolgono intorno al Carroccio, il simbolo del comune
milanese.
Le giornate alla fine di novembre sono fredde e nebbiose ed è già quasi
buio quando Federico con la sua cavalleria arriva nel luogo di quella che
non è ancora una battaglia ma ben presto lo diviene. I soldati della Lega
resistono, ma a notte fonda cercando di trascinarsi dietro il Carroccio
tentano la fuga verso Milano. Vengono raggiunti. È una conclusione
dolorosa e umiliante per i lombardi, che impantanati nel fango sono
massacrati dagli imperiali: Federico scriverà al cognato inglese che i morti
nell’esercito nemico sono stati diecimila, un numero troppo simbolico per
essere vero. Tuttavia la carneficina fu grande ed è certo che la Lega fu
colpita ampiamente e nel profondo: il Carroccio era perduto e il podestà di
Milano, Pietro Tiepolo, figlio del doge di Venezia, era stato fatto prigioniero.
Era così importante quel Carroccio che molte, quasi tutte le città
comunali in Italia possedevano? La forma ci è descritta da alcuni autori
come Salimbene da Parma e Giovanni Villani e illustrata in miniature: il
Carroccio è un carro tirato da buoi tipico delle popolazioni barbariche
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