Page 110 - Federico II - Genio dei tempi
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sovrano che mirava, come del resto facevano tutti i re dell’epoca, non
a una crescita globale ma a realizzare il massimo profitto dalle attività
agricole e di commercio.
A Bisanzio, in Europa e nella stessa Sicilia degli avi normanni si applicava
il monopolio al sale, al ferro, alla canapa e alla pece - utili ai bisogni della
flotta imperiale - e ad altri prodotti del territorio, come la tintura per i
tessuti di seta. Il sale, prodotto prima anche dai proprietari privati delle
saline, dal 1231 passò al regno e il prezzo fu unico su tutto il territorio. Il
consumo di sale che portava ricchezza alla corona era connesso con la
cura del bestiame che macellato e trattato veniva venduto anche fuori dal
regno. Altra merce pregiata erano i cavalli, soprattutto quelli addestrati
alla battaglia e destinati alle truppe imperiali.
L’industria della seta era stata introdotta in Sicilia da re Ruggero
che aveva portato a Palermo da Tebe e Corinto Setaioli fatti prigionieri
durante una spedizione militare: in breve tempo la seta delle manifatture
di Palermo acquistò grande fama in Europa. La coltivazione della canna
da zucchero, praticata da molto tempo nel Vicino Oriente, era condotta
con tecnologie migliori e più alta produttività che nel regno di Federico,
il quale chiese a Riccardo Filangeri, suo rappresentante a Gerusalemme,
di inviargli due specialisti per migliorare la coltivazione declinata dopo
l’espulsione degli arabi che l’avevano introdotta nell’isola.
Assistiamo insomma con meraviglia - non potrebbe essere altrimenti
- Federico occuparsi in quei pochi anni di pace non solo a un progetto
su larga scala come è quello della legislazione, ma anche a diverse e
molteplici attività e opportunità per il regno siciliano. È logico pensare
che l’imperatore disponesse realmente di una ottima équipe di funzionari
dalle varie competenze, il che non toglie merito al suo attivismo e
all’intelligenza del progetto generale.
Un altro esempio: nelle Costituzioni di Melfi il legislatore dichiarava che le
miniere erano un dono di Dio alla terra del regno e pertanto lo sfruttamento
doveva essere riservato al solo ministro divino, il re. Dichiarazione certo
che giovava all’interesse del sovrano, ma che dimostra anche una chiara
consapevolezza che tale ricchezza non era illimitata.
Federico nei pochi anni dedicati alle cure intense del regno prestò
grande attenzione al commercio e ai mercanti. Quelli genovesi, sebbene
delusi da Federico nelle loro speranze, conservarono interesse per
i mercati siciliani dove avevano investito somme ingenti. Ma erano
soprattutto i veneziani ad essere guardati con attenzione dal sovrano,
che li voleva esportatori «di quelle cose che hanno la loro origine nel
regno» e decretava che chiunque facesse affari con loro era esente dal
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