Page 106 - Federico II - Genio dei tempi
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prime delle cose al fine di attuare l’ottima natura originale. Colui che
tutto aveva previsto stabilì di mettere a capo di tutte le creature al di
sotto del cielo della luna la più degna, l’uomo, formato a Sua immagine e
somiglianza, elevato a un grado appena inferiore allo stato di un angelo...
incoronandolo con un diadema d’onore e di gloria.
L’imperatore realizza con pienezza e rappresenta l’immagine di questo
glorioso signore del mondo, imago Dei ma anche recupero dell’immagine
esemplare di Adamo. Se Innocenzo III era risalito a Melchisedec per l’idea
del suo regno sacerdotale, Federico si rifa al primo uomo e al suo dominio
sul mondo.
Si tratta di una restaurazione che si attua attraverso la giustizia, idea al
centro sia del cosmo medievale nelle sue proporzioni naturali, sia delle
relazioni che compongono l’ordine etico e politico: la giustizia non è
soltanto la prima delle funzioni del sovrano, ma appartiene alla sua stessa
ragion d’essere o essenza definitoria. Se si vuole è un proprium della sua
persona intesa come corpus politico.
Il regno stesso è in funzione della giustizia che ristabilisce l’ordine del
mondo infranto dalla Caduta e realizza la legge naturale
divina (fonte della giustizia è Dio, aveva scritto Agostino), un pensiero
questo rovesciato rispetto alla prospettiva moderna per cui la giustizia è
in funzione dello stato.
L’ambivalenza, che non è equivocità ma principio consapevole della
teoria teologicopolitica, è palese nella dichiarazione introduttiva di
Federico («Della giustizia Cesare è padre e figlio, Signore e servo»),
seguita dall’invocazione della presenza divina sull’impegno che avverte
non solo importante ma pesantemente immane. Federico era pater legis
e la giustizia mater iuris: alla base sta questa concentrazione di metafore
che genera il paradosso di un sovrano maior et minor se ipso, mediatore
della giustizia. Sono espressioni che hanno un precedente nel linguaggio
ecclesiastico, dove il vescovo è definito filius et pater ecclesiae, o liturgico,
dove la Vergine Maria si dichiara «madre e figlia di suo figlio».
«L’imperiale teologia del governo - nota il Kantorowicz (1988) - non
dipendeva però più dall’idea di una regalità cristocentrica... ma dal
diritto romano e la sua funzione duale discendeva dalla lex regia, a cui i
Quiriti si rifacevano per conferire al principe l’Iimperium». Che il quadro
di riferimento sia questo può confermarlo un passo di una lettera dello
stesso Federico al senato romano: «Ci riconosciamo obbligati in base al
diritto civile sebbene la nostra maestà imperiale sia libera da qualsiasi
legge e tuttavia non posta al di sopra della ragione madre di ogni diritto».
Il principe dunque è legibus solutus ma contemporaneamente ratione
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