Page 103 - Federico II - Genio dei tempi
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Molti anni dopo nel Castel del Monte Carlo d’Angiò imprigionò i figli
          dello stesso Manfredi. E probabilmente non fu un caso.









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             Quella di Federico II, di Innocenzo III, di Filippo Augusto e dei comuni
          è una età «dominata da una dimensione rinnovata del diritto» (Quaglioni

          1995) e non solo: lo studio delle leggi e l’analisi del linguaggio giuridico, la
          costruzione di una terminologia scientifica concorrono a formare uno dei
          modelli teorici prevalenti nel campo sempre più allargato e complesso
          dei saperi del tempo, Uutrutnque ius più che una teoria bipolare tipica

          del clima di contesa e opposizione, allude piuttosto a una concordanza di
          elementi geneticamenti diversi e tuttavia ritrovabili nello stesso codice di
          Giustiniano, nelle fonti vive e molteplici del diritto contemporaneo e anche
          nelle norme emananti dai due sommi poteri, il sacerdotium e Yimperium.

             Questa è l’età - ricordiamolo - dei «maestri della glossa», che in massima
          parte si erano formati a Bologna: molti di loro guardano al Corpus delle
          leggi di Giustiniano come a un documento perenne, recuperato dopo oltre
          cinque secoli, dal quale si promettevano di far scaturire la nuova scienza

          giuridica. Sono Azzone, Accursio, Odofredo, ma anche i meridionali Carlo
          di Tocco, Roffredo Beneventano e Benedetto d’Isernia. Non solo dunque
          maestri bolognesi, d’origine o di scuola: del resto l’Italia era disseminata
          di centri di studio del diritto, a Modena, a Cremona, a Vicenza, ad Arezzo,

          a Padova, a Vercelli e a Roma, ad esempio. E, naturalmente, c’erano i
          maestri illustri dell’università di Federico II a Napoli.
             Le ricerche hanno messo in luce l’esistenza di due filoni di pensiero
          all’interno delle scuole di diritto fiorenti proprio fra l’ultimo decennio del

          secolo  XII  e  i  primi  vent’anni  del  XIII:  alcuni  maestri  giudicavano  che
          il loro compito dovesse essere concentrato sullo sforzo di intendere il
          senso totale del Corpus, ricostruendone l’architettura anche attraverso lo
          strumento della logica, disciplina disciplinarum, in un interplay fertile per

          entrambi i saperi. L’altra corrente della dottrina giuridica era attenta anche
          al diritto feudale, che faceva parte della vita collettiva con un peso oramai
          difficile da ignorare e presentava le quaestiones de facto emergentes, i
          quesiti nati da situazioni di fatto (Bellomo 1993).

             Un punto, tuttavia, non è mai messo in discussione nei dibattiti, nelle
          controversie e anche nelle più concrete e dure opposizioni: il principio



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