Page 105 - Federico II - Genio dei tempi
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riferimenti del testo anche se non il principale, Ottaviano Augusto e
l’imperatore Giustiniano. Uincipit recita con orgoglio: Federico secondo
imperatore per sempre Cesare Augusto dei Romani sovrano d’Italia di
Sicilia e di Gerusalemme felice vincitore e trionfatore.
Le leggi di Federico promulgate a Melfi presentano due aspetti divergenti
che giustificano le letture opposte - a mio parere entrambe fondate e
entrambe parziali - fatte da alcuni studiosi: lo straordinario documento è
bifronte e se da un lato, soprattutto nel proemio, offre una rappresentazione
chiara del pensiero politico-giuridico di Federico e degli intellettuali della
sua corte (Pier delle Vigne davanti agli altri), dall’altro è indubbiamente il
seguito del programma giuridico avviato dagli Altavilla per il governo di un
regno concreto, la Sicilia, che rispetto ai regni dell’Europa aveva problemi
assai caratteristici. All’interno delle duecento norme che tengono conto
non solo dei codici romani, ma anche delle fonti canoniche, feudali e di
alcune «consuetudini» radicate nel costume germanico e italico, non è
sempre facile leggere un progetto unitario e «alto». Ma questo non può
essere ridotto d’altra parte a «un pio desiderio», a una immaginazione
troppo simpatetica, a un tipico wishful thinking degli storici (come sostiene
David Abulafia 1992), anche se è vero che l’attenzione dell’imperatore alla
contingenza di quella situazione, alla concretezza dei diversi problemi
affrontati è innegabile e quantitativamente preponderante. E come
poteva essere altrimenti da parte di un sovrano che era sì «filosofo», ma
innanzitutto re al massimo grado e di quel regno?
C’è dunque un profilo nitido nel disegno del Liber augustalis? Qual
è? Ricordiamo che Federico legifera da imperatore e il suo progetto,
pur indirizzato a un regno singolo («la più preziosa eredità della nostra
maestà»), è imbevuto di idee alte e «magnanime» nel senso medievale
del termine.
Fermiamoci su alcune dichiarazioni che rientrano per certi aspetti
nel quadro del pensiero politico medievale, con un risalto tuttavia
particolare: sono infatti scritte da un sovrano nell’esercizio delle sue
funzioni. Quell’umanità che i teologi e i filosofi dell’epoca dichiaravano
lapsa, ossia l’umanità un tempo edenica ma oramai depotenziata dal
peccato originale nella volontà e nell’intelletto e incline di conseguenza -
per la debolezza impressa dal bisogno - alla competizione e alla violenza,
è formata da popoli che hanno necessità del governo di un principe: «i
sovrani sono stati creati dalla necessità delle cose e dalla provvidenza
divina». Federico è imago Dei:
la macchina del mondo [la terminologia è stoica] ricevette forma dalla
provvidenza divina che impresse nella materia primordiale le immagini
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