Page 109 - Federico II - Genio dei tempi
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che potrebbe minare con il suo dissenso l’autorità del re che è tale gratta
Dei. Federico infatti contro gli eretici agisce non come il braccio secolare
attivato su richiesta del pontefice, ma in modo autonomo, perché la sua
come quella del papa è una piena potestas che non necessita di alcun
mandato. Questo è senz’altro uno fra i tratti più espliciti e forti del corpus
melfitano.
La giustizia di Federico è amministrata dai suoi ufficiali e opporsi a
loro è considerato un «sacrilegio», segno evidente di una linea teorica
forte che dalla fonte divina del potere si propaga ai funzionari passando
per il mandato sovrano. La figura normanna del giustiziere - del quale
si sottolinea nel testo la parentela con l’idea e la parola giustizia - è
conservata nelle leggi di Federico e sembra naturale che l’imperatore
pensasse per questa carica, alla quale affidava la vitalità, la funzionalità
e la compattezza del suo regno, a coloro che, legati a lui per formazione
culturale e interessi, uscivano dalla università fondata a Napoli.
Non avvenne così e fra le cause dell’insuccesso ricordiamo che allo
Studium napoletano la vita accademica non fu mai molto intensa e vivace:
i giustizieri continuarono a uscire in massima parte dalle grandi famiglie
che verosimilmente avevano più a cuore i loro interessi che quelli della
corona.
Ma il disegno di Federico rimane comunque importante: era la
compattezza del corpo del regno ad assicurare la piena fiducia del sovrano
e a garantire il fluire della sua autorità dal capo nelle varie membra.
Nel Decameron (Novella X dell’VIII giorno) Boccaccio descrive le
procedure vigenti alla dogana (il termine deriva dall’arabo divari) del
porto di Palermo, modello nel regno siciliano della organizzazione fiscale
sul commercio marittimo: i mercanti scaricano le loro merci nel fondaco
nel quale sta la dogana «tenuta dal signore di quella terra», dove sono
registrati i beni depositati che qui vengono conservati in sicurezza. Una
percentuale stabilita per legge sul loro valore sarà versata come tassa ai
doganieri. Nel quadro del Boccaccio non mancano cenni alla corruzione
(ladri, ricattatori e prostitute si aggirano nel porto giorno e notte) che
nasce in questo vivace mondo di affari, ma è indubbio che le misure prese
da Federico per rimpinguare il fisco attingendo dalla attività dei porti del
regno erano state studiate con saggezza. In ogni città della costa e nei
centri di confine erano stabiliti i fondaci statali così che chiunque voleva
introdurre nel regno merci era obbligato a depositarle in questi magazzini
sotto la sorveglianza dei funzionari pagando le tariffe stabilite.
Le guerre al Nord, il pellegrinaggio armato in Terrasanta e la stessa
grande estensione dei domini di Federico, prosciugavano le casse del
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