Page 96 - Nietzsche - Genealogia della morale
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queste poche parole, di quanto è ancora da esporre. Scardinare l’anima umana da tutte le sue

      commessure, immergerla in terrori, gelo, fiamme e delizie, tanto da farla staccare, come per un
      colpo di fulmine, da tutte le piccinerie e le meschinità della insoddisfazione, del torpore, del
      malumore: quali vie conducono a questa meta? E quali di esse sono le più sicure?... Tutte le
      grandi  passioni,  in  fondo,  ne  hanno  la  capacità,  posto  che  esplodano  all’improvviso,  ira,
      terrore,  piacere,  vendetta,  speranza,  trionfo,  disperazione,  crudeltà;  e  in  realtà  il  sacerdote
      asceta ha assunto senz’altro ai suoi servizi tutta la muta di cani selvaggi che sono nell’uomo
      lasciando  libero  ora  questo,  ora  quello,  sempre  allo  stesso  fine  di  riscuotere  l’uomo  dalla

      lenta tristezza, di mettere in fuga, per lo meno per qualche tempo, il suo sordo dolore, la sua
      esitante  miseria,  e  sempre,  comunque,  anche  con  un’interpretazione  e  una  «giustificazione»
      religiosa. E poi ogni perversione del sentimento, di questo tipo, si fa pagare, è ovvio rende il
      malato più malato –: e perciò questa specie di rimedi del dolore, misurata con un criterio
      moderno, è una specie «colpevole». Tuttavia, poiché così vuole l’equità, si deve tanto più
      insistere sul fatto che essa è stata applicata con coscienza tranquilla, che il sacerdote ascetico

      l’ha  prescritta  con  una  fede  profondissima  nella  sua  utilità,  anzi  indispensabilità  –  e
      abbastanza spesso si è trovato quasi a pezzi di fronte al dolore da lui creato; e anche che le
      veementi rivincite fisiologiche di tali eccessi, forse addirittura gli squilibri dello spirito, in
      fondo non contraddicano tutto il senso di questa specie di terapia: poiché questa, come già
      sopra abbiamo mostrato, non si prefiggeva di curare malattie, ma di combattere il dispiacere
      della depressione, d’alleviarlo, d’ottunderlo. Anche così lo scopo è stato raggiunto. Il colpo
      maestro  che  il  sacerdote  ascetico  si  è  concesso,  per  far  sì  che  dall’anima  umana  si

      sprigionasse  ogni  tipo  di  musica  straziante  e  estatica,  si  è  compiuto  –  tutti  lo  sanno  –  con
      l’utilizzazione  del  senso  di  colpa.  All’origine  di  questo  la  trattazione  precedente  ha
      brevemente accennato – come parte della psicologia animale e niente più: il senso di colpa ci
      si era fatto incontro, lì, per così dire, allo stato grezzo. Soltanto nelle mani del sacerdote, vero
      e proprio artista dei sensi di colpa, esso ha preso forma – e che forma! Il «peccato» – perché

      così suona la reinterpretazione sacerdotale della «cattiva coscienza» animale (della crudeltà
      retroflessa) – è stato l’avvenimento più grande, sino ad oggi, nella storia dell’anima malata: in
      esso  abbiamo  l’artificio  più  pericoloso  e  fatale  dell’interpretazione  religiosa.  L’uomo,  in
      qualche modo, sofferente di sé, comunque in guisa fisiologica, quasi come un animale chiuso
      in  gabbia,  senza  sapere  perché,  a  che  scopo,  desideroso  di  ragioni  –  le  ragioni  sono  un
      sollievo  –,  desideroso  anche  di  medicamenti  e  di  narcotici,  alla  fine  si  consiglia  con  chi
      conosce anche ciò che è nascosto – e ecco! ottiene un cenno, ottiene dal suo mago, il sacerdote
      asceta, il primo cenno sulla «causa» del suo soffrire: deve cercarla in sé, in una colpa, in un

      pezzo di passato, deve capire il suo stesso soffrire come uno stato di punizione... L’infelice ha
      ascoltato, ha compreso: adesso è come la gallina, intorno alla quale sia stata segnata una linea.
      Da questo cerchio di linee non riesce più a uscire: il malato è diventato il «peccatore»... E
      ora,  per  un  paio  di  secoli,  non  ci  libereremo  dall’effigie  di  questo  nuovo  malato,  del
      «peccatore» – ma ce ne libereremo mai? –, dovunque si volga lo sguardo, ci sarà sempre lo

      sguardo ipnotico del peccatore, che va sempre in una sola direzione (nella direzione della
      «colpa»,  come  unica  causalità  del  soffrire):  sempre  la  cattiva  coscienza,  questa  «orrenda
      bestia»,  per  dirla  con  Lutero;  sempre  il  passato  rimasticato  l’azione  distorta,  l’«occhio  di
      fiele» per ogni agire; sempre la volontà, resa contenuto di vita, di equivocare sulla sofferenza,
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